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Il giorno in cui Nelson Mandela uscì di prigione dopo 27 anni: fu la fine di un’epoca

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Anche quel giorno sveglia alle 4.30 del mattino, come sempre. Ginnastica nel cortile del carcere e poi qualche tiro di pugilato contro il vento. Undici febbraio 1990 ore 15,30, dopo più di 27 anni Nelson Mandela esce dal carcere. Numero di matricola 466/64 .È arrivato il momento del congedo. Sono venuti a prenderlo la moglie Winnie e un autista.La casa è piena di gente. C’è un clima di festa. Sembra un giorno come gli altri. O almeno, lui tenta di farlo apparire un giorno come gli altri.

Mandela è l’africano del ventesimo secolo. E’ forse l’unica grande figura storica contemporanea che ha assunto le dimensioni di “mito” tra le sbarre di una prigione.

Fiero figlio dell’aristocrazia tribale, il padre alla nascita gli diede il nome Rolihlahla ovvero: “Colui da cui sorgono i problemi;ma giustamente è con l’appellativo di “Profeta” o di “uomo della pace” che mondo intero gli ha sempre reso omaggio.

Oggi a 35 anni dalla sua liberazione dal carcere di Victor Verster tra i vigneti e le colline verdi a nord di Città del Capo, i “problemi sono sorti”. Eccome. La sua scarcerazione rappresentò il primo passo verso la fine dell’apartheid e simboleggiò la fine di un’epoca di oppressione aprendo faticosamente la strada a una nuova era di speranza e riconciliazione per il paese.

Amici, compagni e compatrioti sudafricani. Vi saluto in nome della pace, della democrazia e della libertà per tutti” furono le sue prime parole. Il governo allora divideva ancora per legge i cittadini in base alla loro razza. Aree urbane, quartieri separati per ogni gruppo razziale. Qui i bianchi, lì i neri. Di qua gli indiani, di là i meticci. “E’ un crimine – racconta Mandela – passare per una porta riservata ai bianchi. Un crimine viaggiare su un autobus riservato ai bianchi. Un crimine essere in strada dopo le 11″.

Nonostante la dura oppressione e la lunga detenzione, Mandela rinunciò a una strategia violenta e vendicativa, favorendo invece un processo di riconciliazione e pacificazione.

Dopo la liberazione, Mandela guidò nel ’94 le prime elezioni libere multietniche diventando il primo presidente nero del Sudafrica cercando di superare con la mediazione e la non violenza le profonde divisioni razziali e sociali ereditate dall’apartheid. Trent’anni fa, i neri sudafricani votarono per la prima volta mentre il paese celebrava la monumentale nascita di una democrazia. Quel giorno, il 27 aprile 1994, cambiò la vita di tutti nel paese.

Quando firmando la Costituzione (considerata tra le migliori al mondo) Mandela disse “Stiamo finalmente maturando per diventare una società normale” non poteva immaginare che la strada sarebbe stata più lunga e tortuosa del previsto.

Oggi il Sudafrica mostra la crescente disillusione, la frustrazione e l’impotenza di molti giovani “nati liberi” che hanno assistito al lento evaporare del sogno della “nazione arcobaleno”. Quella inclusiva e prospera per cui Mandela aveva lottato. Tra le élite governative dei 54 paesi che formano il continente non sono certo in molti oggi “in grado di sacrificare tutto per il bene della loro gente” (*) e un altro Nelson Mandela, per ora, non c’è.

Alle ultime elezioni nel maggio 2024, l’African National Congress (ANC), il partito fondato da Mandela, ha perso per la prima volta in trent’anni la maggioranza assoluta in Parlamento, ottenendo il 40% dei voti.

Questa storica perdita riflette una crescente insoddisfazione tra la popolazione sudafricana riguardo alla gestione fallimentare del paese che continua ad affrontare sfide economiche significative, tra cui una crescita a dir poco stagnante, il collasso delle infrastrutture, la corruzione sistemica, l’autorità centrale in declino e l’inadeguatezza delle élite governative nate proprio dal partito fondato da Mandela.

In Sudafrica il 10% della popolazione possiede oltre l’80% della ricchezza il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 34,7%. Oltre il 35% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Ma è e resta tra i paesi più ricchi del continente dove il 70% della terra agricola è ancora di proprietà di bianchi – nonostante i neri rappresentino circa l’80% della popolazione sudafricana.

A trent’anni dalla fine dell’apartheid, il Sudafrica è nel mezzo di un’altra complessa trasformazione. Quello che verrà dopo non è ancora chiaro. “Un vincitore è un sognatore che non si è arreso” diceva Mandela; oggi per fortuna i giovani africani non hanno smesso di sognare e di certo non si sono arresi.

10/02/2025

da Il Fatto Quotidiano

Stefano Pancera(* citazione di Mandela)

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