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Il governo costretto a correggere il decreto immigrazione dopo l’alt di Mattarella: rimandato in cdm e riapprovato

Il governo costretto a correggere il decreto immigrazione dopo l’alt di Mattarella: rimandato in cdm e riapprovato

Politica italiana

06/10/2025

da Il Fatto Quotidiano

di Giacomo Salvini e Paola Zanca

L'irritazione del Quirinale per la gestione dei testi legislativi da parte di governo e Camere. Troppi decreti con norme poco omogenee, stravolti in Parlamento con emendamenti last minute e l'abuso della questione di fiducia

A un mese dalla sua approvazione il decreto immigrazione giovedì è dovuto addirittura tornare in Consiglio dei ministri. Per una correzione sostanziale: inserire una quota di 10.000 badanti stranieri all’anno fino al 2028, anziché prevedere una deroga rispetto alle regole di ingresso dei lavoratori stranieri già inserita nel decreto flussi. Questione di equiparazione dei diritti, tra badanti e tutti gli altri lavoratori. A volere la correzione è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che per un mese, dal 3 settembre al 2 ottobre, ha tenuto il decreto del governo a bagnomaria nelle sue stanze: nessuna correzione, nessuna firma.

Così giovedì, dopo settimane di interlocuzioni e di braccio di ferro con Palazzo Chigi, il decreto immigrazione è tornato in Consiglio dei ministri per la correzione. Una modifica presentata anche nel comunicato di Palazzo Chigi post-Cdm mascherata da “approvazione in via definitiva”. Venerdì, poi, è arrivata la firma del presidente della Repubblica e sabato il decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Un fatto che mette in luce una certa freddezza nei rapporti tra il Quirinale e le presidenze delle Camere pur rimanendo nell’alveo della dialettica sull’iter legislativo. Da mesi, ormai, dal Colle filtra irritazione sulla gestione dei provvedimenti – decreti ed emendamenti parlamentari, su tutti – che arrivano all’ufficio giuridico del Quirinale. Testi non omogenei, emendamenti dei relatori inseriti all’ultimo minutostravolgimento dei provvedimenti in Parlamento da approvare con fiducia in entrambe le Camere.

Una prassi – non solo di questo governo, va detto – che sta peggiorando di settimana in settimana. L’ultimo caso è avvenuto dieci giorni fa quando il governo ha presentato all’ultimo momento un emendamento al decreto sulla Terra dei Fuochi in Senato per introdurre il nuovo dipartimento del Sud da affidare al neo sottosegretario Luigi Sbarra: una sorta di ministero ad hoc da 7 uffici e 60 dipendenti ereditati dalla struttura di missione Zes per un costo totale di 7,8 milioni dal 2026. Una norma che non c’entrava niente con le misure sulle Terra dei Fuochi e che ha provocato irritazione al Quirinale: gli uffici di Mattarella avevano chiesto di stralciare tutto introducendo il nuovo dipartimento in un decreto ad hoc, ma alla fine è stato dato il via libera lo stesso.

Resta però l’irritazione da parte del Quirinale nei confronti dei due presidenti delle Camere che ormai non fanno più filtro sui provvedimenti. Spetterebbe infatti ai presidenti di commissione e ai vertici di Montecitorio e Palazzo Madama vigilare sull’ammissibilità di norme ed emendamenti e questo non viene più fatto provocando malumori al Colle. Che pure, si ragiona, preferisce evitare pubblici richiami, soprattutto su temi “popolari” come le risorse destinate al Sud. Diverso il caso di questioni meno urgenti e di poco appeal nella pubblica opinione, come la gestione dei grandi eventi da parte di Sport e Salute, altra materia su cui il governo aveva valutato di intervenire per decreto: ad agosto il Colle lo ha fermato, minacciando di non promulgare la legge se non fossero intervenute modifiche. Il ministro Abodi, dopo qualche resistenza, ha dovuto fare marcia indietro.

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