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Il governo inciampa sulla crisi dell’ex Ilva, Urso sconfessato

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Lavoro

21/11/2025

da Il manifesto

Luciana Cimino

Poco e niente Il decreto urgente portato ieri in cdm è insufficiente, la convocazione di tavoli separati per spaccare il fronte. Ma la mobilitazione continua

Davanti alle fabbriche di Genova e Taranto occupate, le strade bloccate dai lavoratori, agli scioperi in tutti gli stabilimenti dell’ex Ilva (Novi Ligure, Racconigi, Salerno, Milano, Paderno Dugnano, Marghera e Legnaro), all’accusa di insipienza sulle questioni industriali, il governo ha tentato di correre ai ripari. Prima portando in consiglio dei ministri un mini decreto, poi tentando di dividere le vertenze tra nord e sud.

IL DECRETO, intitolato «misure urgenti per assicurare la prosecuzione delle attività produttive», prevede che Acciaierie d’Italia (Adi) possa «utilizzare i 108 milioni residui del finanziamento ponte fino a febbraio 2026», data in cui teoricamente dovrebbe concludersi la procedura di gara per l’acquisto degli impianti, ammesso che si presentino degli acquirenti. Vengono poi messi 20 milioni sulla cassa integrazione, che quindi per il 75% del trattamento sarà a carico dello stato e non più di Adi. Previsti anche fondi per la formazione di 1.550 operai, che il ministro per le Imprese Urso intendeva usare come dispositivo per nascondere la cig che riguarderà alla fine 6mila lavoratori. Ancora non è chiaro, come fanno notare i sindacati, a quale scopo verrà effettuata, se per smantellare la produzione o riattivarla. La Fiom di Taranto ha calcolato, sulla base delle 96mila ore di formazione comunicate al tavolo, che si tratterà in realtà di meno di 8 giorni a testa. «Chi fa questa formazione? Chi sarebbero questi fortunati?», ha chiesto. Decreto e formazione sono un bluff, la denuncia fatta già martedì.

COSÌ COME UN BLUFF è risultata la convocazione, il 28 novembre, di due tavoli separati, uno per siti di liguri e piemontesi, l’altra per quelli del sud, uno dopo l’altro. Spostando la sede da palazzo Chigi al ministero. Un tentativo maldestro di dividere e sedare. I segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, Ferdinando Uliano, Michele De Palma e Rocco Palombella, non ci saranno per non avallare la devolution siderurgica della destra. «I tentativi del governo di dividere territori, lavoratori e organizzazioni sindacali sono destinati a fallire – hanno risposto De Palma, Iuliano e Palombella -. La ripresa del confronto dovrà avvenire esclusivamente a palazzo Chigi con il ritiro del piano».

Urso, che è noto per scaricare su chiunque (tribunale, amministrazioni locali, sindacati, ambientalisti) le colpe della situazione della siderurgia, anche in questo caso non ha deluso: le richieste di incontro «sono state avanzate dalle segreterie territoriali» dei sindacati, hanno comunicato fonti del Mit in tarda serata, cercando ancora di seminare zizzania. I sindacati da mesi chiedono che Meloni sostituisca il ministro assumendosi la responsabilità della dismissione della siderurgia italiana.

Che Urso non riesca più a gestire la situazione è opinione ormai condivisa. «Non accettiamo una macelleria sociale – ha detto il sindaco di Taranto Piero Bitetti, che ha raggiunto il presidio della sua città -. Ho scritto alla presidente del Consiglio invitandola a Taranto: abbiamo bisogno di verità». «Urso dovrebbe farsi da parte – ha commentato la segretaria dem Elly Schlein – e Giorgia Meloni dovrebbe mettere la faccia, come piace dire a lei, su questa situazione che rischia di essere un disastro sociale». Da Avs Nicola Fratoianni: «Pessima gestione del ministro». Matteo Renzi ha invocato le dimissioni di Urso, persino Carlo Calenda è intervenuto. A modo suo e cioè offrendosi all’esecutivo per salvare l’Ilva e attribuendo colpe al leader pentastellato Giuseppe Conte anche se, ha precisato, «l’ultima mazzata è arrivata da Urso». Infine Conte: «Governo senza soluzioni, si affida a gare con investitori fasulli».

POI C’È IL FUOCO AMICO di chi è vicino della maggioranza. Come la segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, che ha deciso di seguire la linea della Fim e per una volta ha rimproverato il governo (senza nominarlo): «Chiediamo chiarezza, non vogliamo che aumenti la cassa integrazione né che lo stabilimento chiuda. Quello che stiamo cogliendo è che non c’è una prospettiva concreta». Più netto il capogruppo di Fdi della regione Puglia, Renato Perrini (in passato operaio siderurgico) che ha dichiarato di stare «dalla parte degli operai dell’ex Ilva e dell’indotto. La mia voce è arrivata a Roma».

La questione Ilva è entrata nella contesa elettorale pugliese, la chiusura è un rischio di immagine troppo altro per il centrodestra. Il primo a scaricare, di conseguenza, Urso è stato Salvini: «Non faccio il ministro dell’Economia o delle Imprese, ma da ministro delle Infrastrutture ho bisogno di acciaio e preferirei che fosse italiano». E ha aggiunto, sconfessando la linea del suo governo, «quanto proposto finora non ha funzionato quindi è giusto che lo Stato sia protagonista». Intanto gli operai non cedono: «Prepariamoci, non sarà una sola giornata di mobilitazione. È solo l’inizio».

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