La Camera dei Deputati ha approvato in prima lettura (manca quindi ancora l’approvazione da parte del Senato) la delega fiscale predisposta dal Governo Meloni. Si tratta appunto di una legge delega, quindi uno strumento con cui il Parlamento si limita a enunciare dei principi e delle linee guida, affidando poi direttamente al Governo il potere di approvare (entro 24 mesi) gli atti legislativi definitivi che daranno corpo e sostanza precisa alle novità introdotte nel fisco italiano. E su questo aspetto si gioca uno dei primi nodi irrisolti della questione: scorrendo il testo della delega infatti una delle espressioni più utilizzate è “…fermo restando il rispetto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica e di riduzione del debito…”. In altre parole è lo stesso Governo che, nel chiedere poteri delegati al Parlamento, mette in chiaro che la riforma del fisco avverrà nel pieno rispetto delle compatibilità di bilancio e in ossequio alla strategia di riduzione del debito richiesta dall’Unione Europea e serenamente fatta propria dalla compagine governativa: insomma, un poco edificante passaggio in cui la volontà di una controriforma del fisco si potrebbe arrestare solamente davanti al moloch dell’austerità. E se fosse davvero così, “poco male” si potrebbe pensare, visti i contenuti “pessimi” della delega fiscale: purtroppo però, e ci torneremo nelle conclusioni, la realtà rischia di essere ancora peggiore.
La delega esce dalla Camera dei Deputati con poche novità rispetto a come era entrata, confermando quindi il suo carattere iniquo e classista che già avevamo commentato, ma che vale comunque la pena richiamare, almeno nelle sue componenti più odiose:
- Attacco a quel poco di progressività rimasta nel nostro sistema fiscale, attraverso un’ennesima riduzione delle aliquote e il continuo restringimento della base imponibile assoggettata ad IRPEF (sempre più destinata a riguardare solamente i redditi da lavoro dipendente e da pensione);
- Ulteriori regimi di vantaggio al reddito proveniente dall’impiego di capitale, sia quando questo si indirizza verso forme di impiego finanziario sia quando riguarda redditi da fabbricati dati in affitto (es. estensione della cedolare secca anche per gli immobili locati ad uso commerciale);
- Ennesima riduzione dell’imposta sui profitti delle società, in calo costante ormai da 20 anni a questa parte;
- Strizzatina d’occhio agli evasori, attraverso una riduzione delle sanzioni e sistemi di accertamento e di concordato preventivo pensati apposta per favorire quei contribuenti che possono permettersi di pagare consulenti migliori.
Con questo quadro di partenza, sembrava impossibile poter peggiorare le cose. Eppure, le poche novità introdotte durante il dibattito parlamentare sono riuscite in questo intento. Alcuni esempi:
- Per poter diminuire il numero di aliquote IRPEF, e quindi per dare un ulteriore colpo alla progressività, il Governo deve racimolare le risorse da qualche parte. Ecco, quindi, che la delega prevede di ridurre le tipologie di spese che danno diritto alle detrazioni di imposta (almeno per il momento, spese sanitarie o per ristrutturazione sarebbero salvaguardate, e quindi dovrebbero continuare a dare diritto a detrazioni). Oltre al danno, però, c’è anche la beffa. Se è vero che da un lato, per poter tagliare le tasse ai più ricchi, vengono ridotte le categorie di spese detraibili, dall’altro si aggiunge alla lista delle spese detraibili un nuovo protagonista. All’articolo 5, infatti, si spiega come rientreranno in tale categoria le “misure volte a favorire la propensione a stipulare assicurazioni aventi per oggetto il rischio di eventi calamitosi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Tradotto: la messa a riparo dagli effetti di calamità naturali è affidato (per chi può permetterselo) a sistemi di assicurazioni private, per di più rimborsate in parte dal sistema fiscale; dopo anni di disinvestimento pubblico nella cura del territorio, e a due mesi dalla tragedia dell’alluvione in Emilia Romagna, una scelta che semplicemente grida vendetta.
- La legge delega dovrebbe, per sua natura, limitarsi a principi ispiratori, eppure alcuni passaggi aggiunti sono straordinariamente precisi: all’articolo 10 ad esempio si prevede “l’eventuale e progressivo superamento dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica per le autovetture e gli autoveicoli destinati al trasporto promiscuo di persone e cose, aventi potenza superiore a 185 chilowatt, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica a carico del settore delle tasse automobilistiche”. Si tratta dell’abolizione del cosiddetto Superbollo, misura poco significativa dal punto di vista del complesso delle entrate erariali, ma dall’evidente valore simbolico per il Governo: ai “loro” garantiscono uno sconto delle tasse sui macchinoni, agli “altri” (che magari la macchina non possono proprio usarla perché vecchia e inquinante e non possono permettersi di cambiarla) niente…
- Anzi, agli altri resta – in maniera subdola – la promessa di avere una particina alla fiera della riduzione delle tasse, attraverso la promessa (art. 5) di una minore tassazione delle tredicesime mensilità. Una promessa infida, non solo perché rischia di valere pochi euro per i redditi più bassi, ma perché segue la stessa logica del “cuneo fiscale” il cui taglio – come lo stesso Governo ha candidamente ammesso – serve non a far crescere i salari, ma al contrario proprio a garantire la loro moderazione.
La vicenda della delega fiscale ci consegna dunque, al momento, almeno due conferme e una conclusione:
- La prima conferma è quella di un Governo la cui linea economica è totalmente appiattita sull’accettazione della linea dell’austerità e dei “conti in ordine”, anche quando questa impone di rallentare rispetto ai propositi urlati in campagna elettorale (la flat tax da subito per tutti…).
- La seconda conferma è di una sostanziale continuità anche in materia fiscale. Al netto di alcune misure più simboliche che altro, o di obiettivi ambiziosamente perversi ma da realizzarsi “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” (quindi probabilmente mai), la delega infatti è sostanzialmente identica a quella predisposta dal Governo Draghi, al punto da essere votata anche da parte delle “opposizioni” (Azione e Italia Viva).
- La conclusione discende dalle due conferme precedenti: siccome il Governo sembra comunque intenzionato a “saldare il debito” con il proprio elettorato, cui aveva promesso tagli di tasse di vario tipo ed entità, è evidente che a pagare il conto saranno proprio i lavoratori, attraverso un meccanismo duplice: un sistema fiscale sempre più sbilanciato a favore dei più ricchi, e la promessa di ulteriori tagli alla spesa sociale proprio per finanziare un sistema fiscale ancora più iniquo.
Il sistema fiscale è una rappresentazione plastica dei rapporti di forza esistenti nella società. La proposta oggi sul tavolo non è (solamente) la visione di una destra becera e un po’ casareccia, ma il punto di arrivo “naturale” di anni di ideologia neoliberista all’insegna di “meno Stato e più mercato”. L’agenda di questo Governo è chiara e trasparente: elargire alle classi dominanti tutto quello che si può raschiare dal barile dell’austerità imposta dai vincoli di bilancio europei, scaricando tutto il costo sulle spalle di chi lavora, studia o cerca di tirare a campare con una pensione. Proprio per questo, il sistema fiscale può e deve diventare parte del campo di battaglia per recuperare salario reale e servizi pubblici per tutta la collettività, facendo sentire al Governo il fiato sul collo durante l’iter di approvazione della legge delega e soprattutto nei prossimi mesi quando la compagine governativa adotterà i vari decreti delegati.