Guerra ucraìna. Dopo l’invasione ucraina della regione russa del Kursk la pressione militare russa nel Donbass non solo non si è arrestata, come voleva Kiev, ma è aumentata di intensità
Siamo a un mese esatto dall’operazione militare ucraina del 5-6 agosto nella regione russa di Kursk, l’azzardata e storica “invasione” della Federazione russa – il Corriere della Sera ha fatto riferimento alla prima volta dell’operazione Barbarossa del 1941 delle truppe hitleriane – stavolta per risposta che si è voluta a tutti i costi simmetrica all’invasione russa del Donbass del febbraio 2022. Ora, di fronte al terremoto politico in corso nel potere a Kiev, è legittimo interrogarsi sui risultati dell’operazione Kursk. Perché? Perché, sostenuta dalla Nato e dalla stessa Unione europea come risposta legittima e pratica attuazione del diritto ucraino a colpire con armi occidentali in profondità il territorio russo, che è stato colpito più e più volte fino a Mosca stessa, è stata via via motivata con ragioni che appaiono sempre più incredibili e controproducenti.
Dal presidente ucraino Zelensky, dai suoi consiglieri – tempi duri per i consiglieri – per non dire dell’esaltazione di molti media occidentali, è stata raccontata infatti come: necessità di avere territori da scambiare in una eventuale trattativa (35 km, 90 villaggi e il centro strategico di Sudzha occupati paragonabili a tutto il Donbass autoproclamatosi indipendente e annesso con la forza da Mosca che amministra ormai quei territori come suoi?
Poi come necessità di costruire una improbabile zona cuscinetto; e soprattutto come tentativo di rompere la pressione militare russa nel Donbass. Questa operazione, probabilmente suicida di un migliaio di militari ucraini, enfatizzata invece a più non posso come ultima declinazione del concetto di “vittoria”, come prova di forza “eguale” in una guerra che è e resta asimettrica e come vendetta – «Ora provano quello che abbiamo provato noi» – a questo punto si trova sospesa n territorio nemico, con Mosca che comincia a dare notizia di battaglie con impiego di truppe speciali arrivate dalla regione di Kaliningrad, che hanno fermato l’avanzata iniziata il 5-6 agosto.
Ma il fatto più rilevante è che la pressione russa nel Donbass non solo non si è arrestata ma è aumentata di intensità con nuove conquiste di territorio, mettendo a repentaglio nuove città a cominciare dalla strategica Pokrovsk. In buona sostanza più è aumentato il lungo raggio della guerra, più la risposta di Mosca è stata immediata, durissima e “a lungo raggio”. Come dimostra l’abbattimenro (in volo o a terra) di un prezioso F16 con il suo pilota, Oleksii ‘Moonfish’ Mes, volto della campagna di Zelensky per ottenere proprio gli F-16 dagli Usa, che ha provocato il siluramento del capo dell’aviazione; senza tacere la distruzione, proprio in questo mese, di più del 40% delle infrastrutture energetiche con relativo siluramento del capo ucraino del Dipartimento energia; e ad ultimo come dimostra la strage di militari di Poltava, una importante scuola di addestramento, vale a dire la chiave della difficile e non popolare mobilitazione ucraina.
Più si colpisce in profondità la Russia, con operazioni militari azzardate e con armi occidentali, più Putin risponde ricordando l’asimmetria della sua forza in campo e più trova “ragioni” di fronte al popolo russo per confermare la giustezza, la lungimiranza del suo operato nel febbraio 2022 quando con l’invasione dichiarò di avere prevenuto un’operazione Nato-Ucraina contro la Russia, e che ora l’azzardo di Kiev con l’invasione nel Kursk – che secondo il New York Times ha tra l’altro fatto fallire una tornata di colloqui per una tregua – rende concreta agli occhi dell’opinione pubblica, non solo russa.
Si può dire che siamo ad un fallimento di quell’azzardo. O dobbiamo aspettare che dopo i tre ministri – uno dei quali responsabili degli armamenti – e altri altissimi funzionari ai quali si è aggiunto nelle ultime ore lo stesso decisivo ministro degli esteri Kuleba, dobbiamo aspettarci anche quelle dello stesso Zelensky? Il giudizio resta sospeso per una questione dirompente: l’attuale debolezza di Kiev che rasenta la sconfitta rilancia con Zelensky la richiesta “subito” di missili a lungo raggio per colpire ancora più in profondità la Russia. Cancellerie europee e Stati uniti pur convinti di queste motivazioni hanno già dato il via libera (con poche eccezioni che comunque confermano l’avvio irresponsabile di un riarmo europeo che si arrischia a usare perfino i fondi del Pnrr) all’uso delle armi occidentali in chiave offensiva dentro il territorio russo.
Ma il salto di qualità verso il disastro sarebbe a questo punto l’arrivo di nuove sofisticate armi a lungo raggio, come i missili americani Jammer, pronti a partire, ormai promessi ma «solo in autunno inoltrato non ora» dicono fonti della Casa bianca, anche perché le nuove forniture sembrano appese anche loro alle vicende delle presidenziali Usa. Per le quali un clima concreto da Terza guerra mondiale e di un confronto nucleare con Mosca in piena tornata elettorale non sarebbe, come a dire, di buon auspicio al di là della contesa Kamala Harris-Trump; e in Europa, dove quaranta anni dopo vengono schierati nuovi missili intercontinentali a testata nucleare, saremmo nel pieno del terrore atomico.
Mentre l’Unione europea vive la stagione della sua metamorfosi nera – il tramonto con sfumature neonaziste del “Modello Germania” -, non dà segnali di esistenza una sinistra pacifista italiana e continentale che tuoni contro la guerra, che alzi la voce e scenda in piazza su questo tema perché è quello più dirompente. Siamo forse ridotti al “pensiero cauto” tutt’altro che pacifista di un mercante d’armi opportunista come Crosetto, che chiede di mettere fuori dal famigerato Patto di stabilità non la sanità o le spese sociali, ma le spese militari?
La situazione sul campo è ancora per poco di stallo e se non vogliamo che Putin vinca e che Kiev sia sconfitta basta con l’invio di armi che vuol dire più morti e più odio. C’è da costruire il lungo raggio della tregua e della pace. Basta deprimere le forze internazionali (Onu, Cina, la Chiesa, il Brasile, India, Paesi africani) che più si spendono e si sono spese per una tregua. Bisogna riavvolgere il nastro della guerra a poche ore prima dell’invasione criminale di Putin. Perché fallirono gli accordi di Minsk che pure durarono anni nell’epoca di Angela Merkel? Chi preferì la guerra il cui inizio, ancora intestino ma esplosivo, è il 2014 non il 2022? Che cosa è stato davvero Majdan? I termini di un cessate il fuoco esistono ancora tutti, per poco tempo ancora: ritiro di Mosca dai territori occupati, autodeterminazione del Donbass, Crimea russa, neutralità rispetto alla Nato. Prima che il lungo raggio del disastro si allarghi ancora di più.
05/09/2024
da Il Manifesto