09/10/2025
da Left
Il mondo, per quanto tardi, è costretto a mettere a verbale la verità che Gaza grida da un anno
Ci sono voluti tredici mesi, migliaia di morti e un mare di bugie perché qualcuno lo scrivesse nero su bianco: i valichi di Gaza non erano aperti, gli aiuti non arrivavano, e la fame non era una “percezione”. Ora è lo stesso piano di pace di Trump – quello che Israele ha finto di accettare per convenienza – a certificare che servono nuove regole per far passare cibo e medicine, che servono osservatori terzi, che servono tregue e linee di ritiro. Tutto ciò che Netanyahu e i suoi portavoce hanno negato per mesi.
Per mesi il governo israeliano ha ripetuto che non c’era alcuna carestia, che i camion entravano, che i bombardamenti erano “chirurgici”, che la sicurezza richiedeva il blocco totale. Oggi quel racconto crolla sotto la firma americana: il piano parla di cessate il fuoco, di valichi aperti, di una forza internazionale a guida araba, di una polizia palestinese formata, di ricostruzione con materiali che Israele ha sempre definito “pericolosi”.
Ogni punto del piano è una smentita: il ritiro parziale delle truppe nega la “guerra totale”, lo scambio di ostaggi e prigionieri nega la propaganda del “mai un accordo con i terroristi”, la riapertura aiuti nega mesi di negazionismo umanitario.
Il piano di Trump non è una svolta morale: è un atto di realismo. Ma basta a dimostrare che Israele e i suoi difensori hanno mentito su tutto. E che il mondo, per quanto tardi, è costretto a mettere a verbale la verità che Gaza grida da un anno: i colpevoli non sono solo a Sud della recinzione.