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Il Pil americano sprofonda… sotto i dazi di Trump

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«Mala tempora currunt». Forse Trump non sa il latino, ma la traduzione gli arriva dal Dipartimento per il Commercio, che ieri ha comunicato come il Prodotto interno lordo americano sia andato sotto zero. Per l’esattezza -0,3%. Se pensate che l’ultimo trimestre di Joe Biden fu di + 2,4%, allora vi renderete conto del perché sia già scoppiato un putiferio.

Mercati sull’orlo di una crisi di nervi

I mercati Usa (e non solo) sono sull’orlo di una crisi di nervi, per il semplice motivo che l’imprevedibilità di Trump trasforma le attività economiche in una specie di gigantesca lotteria. Naturalmente, anche un analfabeta capirebbe che, in questo scasso, c’entrano i dazi doganali introdotti dalla nuova Amministrazione. Il problema è di capire quello che sta succedendo e come metterci una pezza. Anche se gli analisti più autorevoli, dal Wall Street Journal al Financial Times, non hanno dubbi sul fatto che si tratti di un insensato gioco al massacro, nel quale, alla fine, tutti usciranno con le ossa rotte.

Wall Street Journal

Ecco come sintetizza il crollo il Wall Street Journal: «Il principale fattore di contrazione del primo trimestre è stata la guerra commerciale di Trump. Le esportazioni nette, ovvero la differenza tra le importazioni e le esportazioni degli Stati Uniti, hanno sottratto quasi 5 punti percentuali al Pil nominale. Si è trattato del maggiore impatto negativo trimestrale sulle esportazioni nette mai registrato a partire dal 1947». Dunque, nel caso specifico la crociata protezionistica lanciata da Trump, almeno per ora, ha avuto l’effetto diametralmente opposto a ciò che si prefiggeva, perché le aziende, nell’arco di tempo considerato, hanno aumentato le loro importazioni di uno stratosferico 41%. Tutti gli operatori, diffidenti e impauriti dai proclami tariffari della Casa Bianca, hanno pensato bene di allargare il «ciclo delle scorte», comprando all’estero con grande anticipo materie prime e semilavorati.

Financial Times

A riprova del fatto che la prima reazione dei mercati è stata esattamente opposta a quella che Trump si aspettava, il Financial Times cita i dati ufficiali del governo Usa. «Il Bureau of Economic Analysis, che ha prodotto i dati di mercoledì – scrive il giornale britannico – ha evidenziato l’aumento degli investimenti in scorte private. Senza questo contributo, i dati del Pil si sarebbero contratti a un tasso annualizzato del 2,5%. A ulteriore dimostrazione dell’entità degli sforzi delle aziende per importare prima dei dazi, il deficit commerciale degli Stati Uniti ha raggiunto il massimo storico di 162 miliardi di dollari a marzo». Quindi, con le sue paturnie tariffarie, un record (al contrario) il Presidente americano lo ha già ottenuto. Il problema è che l’inciampo del Pil è il segnale di un malessere più vasto, che ha effetti diversi su tutta l’economia statunitense. Ad aprile, per esempio, sono stati creati solo 62 mila nuovi posti di lavoro, anche se le previsioni indicavano numeri più importanti e a marzo le nuove assunzioni erano state 147 mila.

Difficile dietrofront dal suicidio dazi

Ora, però, è chiaro che qualsiasi tipo di lettura voglia essere data agli indicatori economici sull’aumento del deficit commerciale, il tema dei dazi doganali sta diventando sempre più scottante e politicamente scomodo. Tanto da richiedere un intervento anticipato (e abbastanza stizzito) dello stesso Presidente. Una litania di capriole linguistiche, ma che dimostrano l’ansia di «spiegare. O di provare a giustificarsi. Questa volta è il Washington Post a descrivere lo stato d’animo dell’inquilino dello Studio ovale, che evidentemente già da giorni si aspettava brutte notizie: «Mercoledì mattina – scrive il WP – il Presidente Donald Trump si è scagliato contro le previsioni economiche sempre più fosche che hanno messo in cattiva luce le sue politiche e offuscato quello che lui sperava sarebbe stato il traguardo dei suoi 100 giorni in carica. Ha dato la colpa alla Federal Reserve. Ha espresso rabbia per quelle che ha definito politiche commerciali ingiuste del passato. E, più di ogni altra cosa, ha dato la colpa al suo predecessore. «Probabilmente avete visto qualche numero oggi», ha detto all’inizio di una riunione di Gabinetto alla Casa Bianca. «E devo iniziare dicendo che questo è Biden, non Trump».

Trump ‘variabile impazzita’

In un sistema complesso come il mondo attuale, dove gli attori interagiscono sempre più velocemente, fare previsioni di lungo periodo è pressoché impossibile. Se poi nel sistema si introduce una ‘variabile impazzita’, come è il caso di Trump, allora bisogna andare avanti alla giornata. L’epitaffio di una tale baraonda, che sembra uscita da un romanzo di Cervantes, lo lasciamo al New York Times.

«Gli economisti – sostiene il quotidiano – hanno affermato che il messaggio più importante che emerge dagli ultimi dati è evidente. I consumatori e le imprese hanno iniziato a modificare il loro comportamento in risposta alle politiche di Trump, ancor prima dell’annuncio dei dazi del 2 aprile, che ha mandato in tilt i mercati finanziari. Il pieno effetto di queste politiche non sarà chiaro per mesi, ma gli economisti avvertono – conclude minaccioso il Times – che il danno potrebbe essere sostanziale, soprattutto se Trump continuerà a cambiare il suo approccio quasi quotidianamente, come ha fatto nell’ultimo mese».

E se, aggiungiamo noi, deciderà di scendere in guerra anche contro la Federal Reserve di Jérome Powell, come fa capire tutti i giorni.

01/05/2025

da Remocontro

Piero Orteca

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