Dagli impolverati (e scarsi) documenti lentamente desecretati dalle nostre amministrazioni, emerge un foglio che per la prima volta conferma l’attivazione in occasione del rapimento Moro, e poi nel 1981 durante il sequestro del generale Dozier, di alcuni membri di Gladio per una missione di intelligence “passiva rispetto a fonti e notizie di potenziale interesse” (Relazione da SISMI a Ministero della Difesa: Gli Sviluppi più Recenti della Questione Gladio, 10 gennaio 1991). Sembrerebbe dunque, a stare a quello scritto, che la VII Divisione dell’allora Sismi, il servizio segreto militare, dalla quale Gladio dipendeva, sia stata ‘scomodata’ per integrare l’attività informativa del controspionaggio e nulla più.
Ne scrisse qualche tempo fa sulla Rivista italiana di storia internazionale (2/2023) Niccolò Petrelli in un articolato saggio che ha l’ambizione di delineare “la cooperazione di intelligence Italia-Usa e l’evoluzione dell’operazione Gladio”, riconfermando anche quanto in parte già è noto: cioè la nascita delle rete Stay/behind dentro le iniziative militare anglo-statunitensi per prevenire invasioni, orchestrare sabotaggi e operazioni di contro-insorgenza (cioè moltissima roba che spazia dal contrasto al nemico sovietico alla repressione dei movimenti interni giudicati oltreoceano poco amici) in un quadro di sostanziale subordinazione ai servizi statunitensi e britannici.
Le iniziali pressioni dei funzionari CIA sulla controparte italiana per un rapido reclutamento e per una intelligence attiva sono documentate da diverse relazioni, le quali tuttavia tacciono sui soggetti reclutati e sulla natura dei loro rapporti con il servizio stesso: perché è anche lì che si nasconde la storia d’Italia.
Nei primi mesi del 1969 il SID affermava di disporre di 300 elementi (da portare a 1000) addestrati per attività di informazione, propaganda, infiltrazione/esfiltrazione (il governo del tempo, con poco trasparenza ma più abilità, avrebbero affidato a loro la questione del torturatore libico Almasri, oggi riconsegnato platealmente da un ministro con la faccia di bronzo), poi successivamente l’organizzazione interna della rete Stay/behind è cambiata diverse volte ma resta il nodo di sempre: i reclutamenti segreti dei neofascisti, testimoniate da un personaggio di grande calibro della Democrazia cristiana come Paolo Emilio Taviani, diretto protagonista di questo capitolo della nostra storia perché fu il ministro della Difesa che firmò gli accordi con gli Stati uniti per far nascere le reti da noi conosciute con il nome di Gladio.
Ci sono state poi nel tempo tante voci sparse che hanno contribuito a delineare la giusta prospettiva nella quale guardare alle reti clandestine; dal generale Emanuele Borsi di Parma, che denunciò la ‘banda armata’ dei militanti ordinovisti incistata nello pancia dello Stato, al golpista in divisa Amos Spiazzi, ad altri meno rilevanti ma non insignificanti personaggi: si pensi al siciliano Alberto Stefano Volo inviato nei primi anni 70 come agente destabilizzatore a Genova per dar fastidio alle democratiche manifestazione dei ‘camalli’, i lavoratori del porto: con lui Giovanni Falcone parlò a lungo, e forse da quelle conversazioni radicò la sua convinzione della pista fascista dell’omicidio di Piersanti Mattarella.
Questioni molto attuali, innanzitutto perché non risolte e proprio per questo oggetto anche di uno strisciante tentativo di revisione da parte delle élite oggi al potere.
16/02/2025
da Il Fatto Quotidiano