Valditara vuole estendere i PCTO ai 15enni, mentre aumentano morti e infortuni. Dati e storie smentiscono ogni pretesa educativa.
Ci sono numeri che chiederebbero silenzio, riflessione, riforme. Invece il ministro Giuseppe Valditara risponde con l’esatto opposto: mentre i dati INAIL per il 2024 registrano 2.100 infortuni durante i Pcto e 13 morti tra gli studenti (uno durante lo stage), il governo ha deciso di estendere questi percorsi anche ai quindicenni, in piena età dell’obbligo scolastico. Nei primi tre mesi del 2025 siamo già a 600 incidenti. Si parla di ragazzi, non di statistiche.
Valditara non arretra, rilancia. Il decreto Pnrr-Scuola promuove un modello “4+2”, abbassando l’età per l’ingresso nei Pcto già al secondo anno degli istituti tecnici e professionali. Un salto ideologico che chiama “addestramento al lavoro” ciò che la cronaca racconta come esposizione precoce al rischio.
La pedagogia del rischio preventivato
Dal 2023, dopo l’estensione della copertura assicurativa Inail, i dati sono finalmente completi. E mostrano che i Pcto sono uno dei segmenti più pericolosi dell’esperienza scolastica. Incidenti gravi, morti in itinere, mancanza di formazione specifica, aziende selezionate con superficialità, tutor scolastici spesso impreparati o inesistenti. È il caso di Giuseppe Lenoci, 16 anni, morto in un incidente stradale durante una trasferta non autorizzata. O quello di Giuliano De Seta, schiacciato da una lastra in azienda, per cui è stato negato il risarcimento alla famiglia perché “non lavoratore”.
Non è un incidente, è un sistema. Un sistema che assegna ai ragazzi lo statuto giuridico del lavoratore solo quando si tratta di esporli ai pericoli, e lo toglie quando serve riconoscere diritti o tutele economiche.
A nulla servono le carte dei diritti se poi i tutor non sanno cosa devono tutelare. E il “progetto formativo” spesso non è altro che un documento stampato in fretta per rispettare il monte ore. Gli studenti, in troppi casi, raccontano esperienze vuote: fanno le pulizie, tagliano erba, portano caffè, archiviano fascicoli. Si chiama Pcto, ma somiglia a un tirocinio malpagato (se non gratuito).
Una scelta politica consapevole
Di fronte a questi dati, la riforma viene giustificata con la necessità di colmare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Ma lo dice con le parole sbagliate: “l’alternanza è fondamentale”, “è addestramento al lavoro”. Parole che sembrano definire i ragazzi più come forza-lavoro da ottimizzare che da formare.
Il paradosso è evidente: più aumentano gli infortuni, più si anticipa l’accesso. Il tutto mentre le tutele vengono alleggerite: meno ore obbligatorie, meno controlli, più autonomia alle aziende. I 600 milioni promessi nel 2024 per la sicurezza sono virtuali: nessuna quota vincolata ai controlli sui Pcto. Eppure basterebbe poco: formazione vera per i tutor, un albo delle aziende certificate, un sistema di tracciabilità dei percorsi.
Una scuola che seleziona chi può rischiare
Il rischio, come sempre, non è democratico. I liceali vanno nei musei o agli eventi culturali. I ragazzi dei tecnici e dei professionali finiscono nei cantieri, nelle officine, nelle serre. La scuola si piega alla logica produttiva: i figli dei lavoratori diventano operai prima ancora di sapere cosa vogliono essere. Ed è proprio su di loro che lo Stato scarica il peso del proprio fallimento educativo, autorizzandoli a rischiare per “fare esperienza”.
Non è una deriva casuale, è un’idea di scuola subordinata all’impresa, dove i diritti vengono sostituiti dalla retorica della “cultura del lavoro”. Ma una cultura che espone e non protegge, che addestra e non forma, che seleziona chi può rischiare, non ha nulla di culturale.
05/07/2025
da La Notizia