02/10/2025
da Il Manifesto
Assalto nel buio. Le ultime ore di viaggio nel racconto del nostro reporter: i canti dalle barche, poi il blackout. Una voce dalla radio ordina l’alt. Le barche circondate una a una, gli equipaggi arrestati
Il nostro inviato a bordo della Hio ci ha aggiornati in diretta fino al momento in cui le comunicazioni si sono interrotte. All’ora di andare in stampa non abbiamo più sue notizie.
«Avrei voglia di urlare, non di paura, ma di tristezza». Manuela Bedoyo ormai la conoscete: Gustavo Petro le ha dedicato l’ultimo tweet, la notte precedente la nostra cattura. Manuela dice che ha voglia di gridare perché è la terza volta che prova ad entrare a Gaza. L’ultima, a giugno: ha partecipato alla Global March Gaza in Egitto, fermata dalle autorità del Cairo. È triste perché forse non aveva smesso di crederci.
ALLE 19.50 di ieri è arrivato l’alt dal blocco navale israeliano: una voce femminile esce dalle radio, dice che siamo in violazione del diritto internazionale e offre il porto di Ashdod per scaricare gli aiuti dopo l’ispezione dell’esercito. Dice che siamo una minaccia ai cittadini israeliani e responsabili delle conseguenze delle nostre azioni «in violazione della legge». Poi parla del 7 ottobre, il numero di uccisi e rapiti nell’attacco di Hamas nel sud di Israele.
Per la Global Sumud Flotilla risponde Thiago Avila: «Non vi riconosciamo come un soggetto legittimo in grado di portare aiuto alla popolazione palestinese di Gaza. Vi chiediamo di non commettere un altro crimine di guerra, tra i tanti che avete commesso, e di non interferire con la nostra missione di solidarietà pacifica, non violenta e umanitaria per le persone palestinesi a Gaza. Tutto il mondo sta guardando e si sta sollevando contro i vostri crimini. Il tempo delle vostre violazioni è finito».
ALLE 20 le prime barche vengono intercettate dalla Marina israeliana. I gommoni corrono sul mare scuro, ci affiancano ma non si fermano, si vede che seguono un ordine prestabilito negli abbordaggi. Nel buio, si sentono canti alzarsi dalle barche. «Palestina libera», si sente gridare, e poi canti di lotta. Dall’Italia arrivano le notizie di mobilitazioni, stazioni bloccate: lo dico ai miei compagni di viaggio, si commuovono. Sulla barca Hio mezz’ora dopo siamo raggiunti da un fascio forte di luce. Pochi rumori, ma arrivano anche da noi. Cannoni ad acqua colpiscono alcune barche, ho giusto il tempo di trasmettere il pezzo al giornale. Un’ora prima, quando le navi militari israeliane sono apparse all’orizzonte, in un cielo ormai buio, abbiamo iniziato i preparativi per l’intercettazione. Ognuno per conto suo, indossando le cose che si pensa possano essere utili in una cattura, che non sai come potrà andare e quanto potrà durare. Abbiamo riempito il pozzetto di provviste, bottiglie di acqua, mele, biscotti. Anche antidolorifici e sigarette: più di uno a bordo ha ripreso a fumare. Abbiamo raccolto i coltelli, anche quelli da cucina senza lama, per spalmare la cioccolata sul pane. Li abbiamo buttati a mare in un sacchetto: è una missione pacifica, disarmata, non avevano nessun pretesto per considerarci una minaccia.
Abbiamo indossato i giubbotti salvagente. Qualche abbraccio tra persone diventate, dopo un mese in questo spazio ristretto, una famiglia. Abbiamo condiviso il piacere e l’onore che è stato navigare insieme, poi ognuno si è concentrato sulle comunicazioni con i propri cari a terra, approfittando degli ultimi minuti di connessione internet. È successo in ogni intercettazione precedente: le autorità israeliane hanno bloccato la rete. Al timone c’è Anna, impavida come sempre.
LA NOTTE PRECEDENTE all’abbordaggio è stata una notte di intimidazioni. Siamo riusciti a dormire qualche ora solo dopo l’alba. Poi alle 11 tutti svegli per la riunione generale: Thiago Avila ha riassunto quello che era successo e discusso su come andare avanti. Si è deciso di ricompattare la formazione e aumentare la velocità a cinque nodi e mezzo, la velocità massima mai sostenuta dalla flottiglia.
CONTRO OGNI ASPETTATIVA, ieri mattina eravamo ancora in navigazione. Oltre ogni aspettativa perché il falso allarme era sembrato vero a tutti: una nave militare con le luci spente ha girato intorno alla nave-guida, la Alma, e abbiamo perso i collegamenti con il suo equipaggio e quello della Sirius. È stato attivato il protocollo che consiglia di disfarsi di tutti i dispositivi elettronici: una trentina di persone, tra Sirius e Alma, hanno gettato a mare telefoni e computer. Erano le prove generali dell’intercettazione. Forse l’esercito israeliano voleva studiare le reazioni della Flotilla.
In riunione si è provato a correggere il tiro: sul tracker osservavamo una tendenza a mettersi in fila. Un gruppo troppo scomposto, era importante mantenere la formazione. Si è deciso anche altro: la Flotilla sarebbe andata avanti anche se l’Alma fosse stata intercettata, o se la Sirius fosse stata intercettata, o una delle cinque barche che hanno guidato la navigazione, tra cui quella dei veterani dell’esercito americano. Si sarebbe continuato a navigare finché fisicamente possibile, salvaguardando l’incolumità di tutte le persone a bordo. Era il senso delle 50 barche: aumentare le possibilità di arrivare a Gaza.
ABBIAMO SOFFERTO un fortissimo condizionamento psicologico, arrivava da terra, dall’Italia dove si insisteva sulle 150 miglia come fosse una sorta di linea rossa, di confine di acque territoriali. Le 150 miglia non corrispondono alla demarcazione di nessun diritto internazionale né di blocco illegale.
Di pomeriggio è scesa una calma surreale: la Alma si è rimessa in testa alla flottiglia. Sulla prua della Hio si è posato un passerotto: vuol dire che la terra è vicina. Luna ha raccolto gli ingredienti più buoni che restavano a bordo e ha allestito un piccolo buffet sul tavolo centrale della dinette. Qualcuno ha provato a dormire, qualcuno ha preparato l’ultimo caffè, altri ne hanno approfittato per prendere gli ultimi appunti. Le valigie tutte pronte, la barca tirata a lucido. Chissà perché volevamo farci trovare puliti dai soldati israeliani. Le ultime ore di navigazione della Global: siamo partiti il primo settembre, un mese intero da un capo all’altro del Mediterraneo.