11/12/2025
da il Manifesto
Palestina Arriva la tempesta Byron, centinaia di migliaia di palestinesi tra acqua, fango e freddo. Tre uccisi dai cecchini, mentre la protezione civile scopre un'altra fossa comune. In Cisgiordania 21enne muore in carcere. Tel Aviv approva 764 nuove case per coloni
«La tempesta Byron, dopo aver colpito Grecia e Cipro, è arrivata in Israele di notte, minacciando alluvioni e venti forti per i prossimi giorni». Si apre così un pezzo pubblicato ieri sul Times of Israel che riassume i pericoli per la popolazione e le misure che le autorità israeliane hanno previsto per limitare al massimo i danni.
Si stimano venti a una velocità di 90 chilometri l’ora e «piogge mai viste». Ai soldati di stanza nelle basi a sud è stato consentito di rientrare a casa; ai residenti è consigliato di non scendere nei parcheggi sotterranei, di controllare la tenuta dei tetti e di non uscire di casa; agli ospedali è stato chiesto di mettersi in allerta per l’arrivo possibile di feriti.
NEL RACCONTO mediatico israeliano non si fa riferimento a chi, a pochissimi chilometri di distanza da quelle basi e quelle città, non ha alcun riparo. Il muro di separazione costruito da Israele intorno a Gaza e alla Cisgiordania non fermerà la tempesta. Nella Striscia i primi devastanti effetti i si vedono già e si preannunciano peggiori di quelli provocati dalle piogge di questo autunno. Non ci sono tetti da controllare, case in cui ripararsi o ospedali pronti ad accogliere.
Basta leggere i numeri diffusi ieri dalle Nazioni unite sulla magnitudo della distruzione provocata dall’offensiva israeliana negli ultimi 24 mesi: circa l’81% delle strutture di Gaza totalmente demolite, gravemente o parzialmente danneggiate. Tra queste 320mila abitazioni. 1,9 milioni di persone, quasi l’intera popolazione, sono sfollate e mezzo milione vive nelle tendopoli, sotto ripari vecchi di mesi, sfibrati dal tempo e dalle condizioni meteorologiche.
Dall’inizio della tregua, il 10 ottobre, Israele blocca l’ingresso di nuove tende, violando uno dei punti principali dell’accordo. Fuori dai valichi attendono anche soluzioni migliori di un pezzo di stoffa: caravan e unità mobili. Seimila camion pieni sono fermi.
«L’UNICA COSA autorizzata al momento sono alcuni teloni, che non servono a molto a persone che necessitano di rifugi appropriati», ha detto ieri Chris McIntosh, responsabile per la risposta umanitaria di Oxfam. I venti forti hanno già abbattuto molti rifugi di fortuna, le piogge stanno invadendo le tendopoli e le strade, impregnando di fango la stoffa e rovinando i pochi averi dei palestinesi. Il freddo non dà tregua. Le persone tentano di difendersi con montagnole di sabbia intorno alle tende.
Non si spegne nemmeno il fuoco. Ieri altri tre palestinesi sono stati uccisi dai cecchini israeliani per aver oltrepassato, inavvertitamente, la linea gialla che taglia Gaza in due. Mobile e non segnalata, se non in alcuni punti con blocchi di cemento verniciati di giallo, secondo il capo di stato maggiore Eyal Zamir è ormai considerata da Tel Aviv «confine ufficiale». Tra i tre uccisi, tutti a Jabaliya, campo profughi a nord, c’è un ragazzino di 16 anni, Zahir Nasser Shamiya.
Prima è stato colpito da una pallottola, poi una jeep lo ha schiacciato. Dal 10 ottobre l’esercito israeliano ha ucciso 383 palestinesi, così da non interrompere mai la conta delle vittime dal 7 ottobre, ufficialmente attestata a 70.400 che non tiene conto delle migliaia di dispersi e dei morti per fame e malattie.
Alla conta si sono aggiunti ieri trenta corpi, scoperti dalla protezione civile in una fossa comune nel cortile dell’ospedale al-Shifa, posto sotto un feroce assedio nell’autunno 2023 e nella primavera 2024 e tramutato in un cimitero, con centinaia di corpi malamente seppelliti dai soldati.
LA CISGIORDANIA non è risparmiata dalla rimozione dei corpi palestinesi: l’ennesima giornata di arresti di massa si è conclusa ieri con oltre cento detenzioni, il doppio della media – già altissima – degli ultimi due anni. E in carcere si continua a morire, a qualsiasi età. L’ultimo prigioniero era giovanissimo, ventuno anni: Abdul Rahman al-Sabateen, del villaggio di Husan, alle porte di Betlemme, sottoposto negli ultimi giorni a numerose demolizioni.
Arrestato a giugno, l’ultima volta che al-Sabateen è apparso «in pubblico» è stato il 25 novembre in un tribunale militare. In salute, hanno raccontato i familiari. Dal 7 ottobre, sono almeno 94 i palestinesi morti in un carcere israeliano, un numero altissimo e probabilmente sottostimato che – secondo l’ong Physicians for Human Rights-Israel – è la prova di «torture sistematiche», confermate dall’ufficio della difesa pubblica di Israele pochi giorni fa.
A ESSERE RIMOSSA è anche la terra: ieri il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, esponente dell’ultradestra e colono, ha approvato la costruzione di 764 nuove unità abitative in tre insediamenti illegali in Cisgiordania (Hashmonaim, Givat Zeev e Beitar Illit). Seguono alle 51mila autorizzate da fine 2022, entrata in carica dell’attuale governo Netanyahu.

