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Israele della destra ebraica, post-democrazia allo sbando

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Il governo ‘politico’ attizza la guerra e i militari frenano, cercando di evitare un’incontrollabile escalation. In questo mondo, che si è rivoltato sottosopra, nel quale i generali fanno i pacifisti e il premier Netanyahu sembra colto da fobie bonapartiste, spicca l’azione irresponsabile della destra messianica e nazionalista.
Dopo dieci mesi di assedio e 40mila palestinesi uccisi, a Doha difficili colloqui per il cessate il fuoco a Gaza. Hamas non manda una delegazione. Netanyahu pone nuove condizioni. Una democrazia allo sbando e l’altalena America a seguire.

Il mio Dio vale più del tuo

Al solo scopo di gettare benzina sul fuoco delle provocazioni, l’altro ieri l’ormai famigerato Itamar Ben-Gvir, Ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, si è fatto una passeggiata nella Spianata della Moschee di al-Aqsa/Monte del Tempio, seguito da un codazzo gorilla armati “impegnati a pregare”. Non solo non lo poteva fare, per questioni di accordi sottoscritti (lo “Status quo” con la Giordania), ma soprattutto non lo ‘doveva’ fare in questo momento. Cioè, in una fase in cui i nervi di tutti sono tesi come corde di violino. Infatti, l’accesso a quello che Haaretz, il quotidiano di Tel Aviv, definisce come “il luogo più incendiario di tutto il Medio Oriente”, è rigidamente codificato.

I due siti santi, per l’Islam e per l’Ebraismo, sono attigui e per evitare incidenti occorre visitarli seguendo delle regole. Che, in questo caso, il governo israeliano si è messo sotto la suola delle scarpe.

Ministri criminali in beffa al Re giordano e all’Islam

Con evidente disprezzo dell’intesa col Regno di Giordania, custode di quei luoghi, Israele ha offeso platealmente a Re Abdullah II, un moderato, prezioso alleato degli Stati Uniti, mettendolo in difficoltà davanti a tutto il mondo arabo. Mentre la Casa Bianca vergognosamente tace. Il ‘bullo’ Ben-Gvir era accompagnato da un altro ministro, Ytzhak Wasserlauf, anche lui del Partito di estrema destra Otzma Yehudit, ‘Potere ebraico’. Una mossa che spiega come la sfida fosse stata programmata a tavolino. Lo scopo? Far fallire i negoziati per il cessate il fuoco. Per capire di cosa stiamo parlando, basti solo ricordare che, per una ‘passeggiata’ analoga, compiuta da Ariel Sharon nel 2000, scoppiò la rovinosa Seconda Intifada.

Sconsolata riflessione di Haaretz

Assolutamente sconsolata la riflessione fatta dall’editoriale di Haaretz: “Ma quando il criminale è proprio il ministro responsabile della polizia, cioè lo stesso Ben-Gvir – scrive il giornale – allora a chi ci si può rivolgere?” E, infatti, la polizia israeliana si è limitata solo ad assistere. Senza muovere un dito. Israele ha occupato militarmente i luoghi santi dopo la guerra dei Sei giorni, però si è impegnato a rispettare il fatto che a pregare sulla Spianata delle moschee possano essere solo i mussulmani. Com’era prevedibile, l’evento ha contribuito a rendere ancora più torrido il clima politico. Già agitato (a destra) dall’altro ministro ‘messianico’, Bezalel Smotrich, che ha straparlato di ‘carestia’ come un’opportunità da sfruttare per vincere la resistenza palestinese. Ma la politica interna israeliana non è fatta solo di arroganti prese di posizione ‘suprematiste’, ma anche di vere e proprie risse, in mondovisione, che la dicono lunga sulle divergenze esistenti dentro un esecutivo logorato da critiche che piovono da tutte le parti.

Arroganza del potere

La più emblematica di queste contrapposizioni vede schierati, su fronti contrapposti, lo stesso premier Netanyahu e il Ministro della Difesa, Yoav Gallant.  Quest’ultimo è un generale “pragmatico”, non è un idealista, ma è un serio “professionista della guerra”. In quanto tale, sa benissimo quando è il momento di cominciarla e come condurla. Magari molto sopra le righe, come sta facendo il suo esercito “che sotto la sua guida ha commesso e sta ancora commettendo azioni che rasentano i crimini di guerra” (il virgolettato è un giudizio letterale del quotidiano israeliano Haaretz). Però, proprio per questa sua esperienza, Gallant ha anche la capacità, più dei politici, di dire “quando una guerra deve finire”. E, in particolare, in questi ultimi giorni, il Ministro della Difesa si è opposto con forza a un’invasione israeliana del Libano, per chiudere i conti con Hezbollah. Cioè, a un’azione d’attacco che può essere considerata strategicamente sconclusionata e diplomaticamente suicida, nel momento in cui Israele si trova al centro di una pressione internazionale insostenibile.

Rissa aperta nel governo

Questa divergenza di opinioni è sfociata in lite aperta, davanti alla stampa. Gallant ha ripetuto, papale papale, le sue motivazioni contro un attacco preventivo che coinvolgesse Israele per la conquista di una fascia di territorio libanese, fino al fiume Litani. Eppure proprio lui era stato uno degli architetti della guerra preventiva contro Hezbollah. Ma fino all’anno scorso. Oggi, ripete il ministro, non ci sono più le condizioni e le risorse del Paese non gli consentono di imbarcarsi in avventure, che potrebbero rivelarsi più complicate del previsto. Gallant è diventato l’uomo degli americani o, meglio, dell’Amministrazione Biden, sempre più in rotta di collisione con Netanyahu. Il quale ha pensato un paio di volte di licenziarlo, ma poi ci ha rinunciato, perché gli svantaggi sarebbero superiori ai benefici. Washington non gradirebbe. La difficile convivenza si ripercuote su una strategia israeliana ‘oscillante’, dove manca qualsiasi programmazione e con la quale si va avanti giorno per giorno. E Gallant, smentendo il suo premier, dichiara che si può arrivare a un’intesa per il Libano, si può rinunciare al controllo del corridoio Filadelfia, tra Gaza e l’Egitto e, soprattutto, si può siglare un accordo per riportare a casa gli ostaggi.

Netanyahu e la ‘vittoria totale’, memoria di altre follie

Dall’altro lato, Netanyahu gli risponde col suo teorema della “vittoria totale”. Una bugia, secondo Haaretz, che spiega: “Per arrivarci, ci vorrebbe una guerra perpetua. Perché, bisognerebbe prima distruggere Hamas, Hezbollah, le milizie sciite in Irak, gli Houthi nello Yemen, l’Iran, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e pure la Corte penale internazionale”.

15/08/2024

da Remocontro

Piero Ortega

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