«Disconnessi dalla realtà» per Israele sono gli altri, i 29 ministri degli Esteri con la lettera contro la guerra a Gaza, prima, vera, seria, collettiva protesta perché si ponga fine al conflitto. Arroganza e insensibilità che colpisce ora anche nella comunità ebraica, inclusa quella di New York, avverte Ugo Tramballi nelle sue ‘SlowNews’ da Gerusalemme
Intanto i leader dello Stato ebraico parlano come in ‘1984’ di George Orwell, e danno al ghetto di Gaza il nome di ‘città umanitaria’
Governo Netanyahu disconnesso dal mondo
Chi sembra dissociarsi dal mondo reale nel quale Israele è sempre più isolato, sembrano essere il ministero, il governo e l’intero Paese che in molti casi gioisce, spesso nega, a volte ignora o finge di non sapere, ma raramente si ribella per ciò che accade a Gaza. Disconnessi dalla realtà sarebbero i 29 paesi firmatari della lettera: gli europei [non tutti, manca la Germania (e l’Ucraina, NdR)], più Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Cioè l’internazionale democratica in un mondo sempre più illiberale, che non può essere accusata di essere anti-israeliana, non avendo fatto alcun passo risoluto dopo 22 mesi di orrore a Gaza.
‘Disconnessi’ dalla democrazia
Disconnesse sarebbero anche le oltre cento agenzie internazionali, da Save the Children a Medici Senza Frontiere, che ieri hanno firmato un altro documento per denunciare «l’inedia di massa» voluta da Israele, usando cibo e acqua come armi d’assedio. La risposta: il cibo c’è ma le agenzie internazionali non lo distribuiscono. Una bugia. Israele fa di peggio. Sono 136 i Paesi che aderiscono all’accordo per non riscuotere dazi sull’importazione di beni per scopi umanitari: i vicini dell’Ucraina o del Sudan non lo fanno. Il governo di Gerusalemme li impone, costringendo le agenzie ad acquistare in Israele, a prezzi molto più alti.
Ministro disconnesso dal pudore
Cosa sta accadendo in questo Paese? Il Paese nel quale il ministro della Difesa, Israel Katz, propone di chiudere 600mila gazawi in una «città umanitaria» dalla quale gli abitanti non possono uscire nell’attesa della deportazione. È la lingua di “1984” di George Orwell, che dava alla guerra il nome di pace e alla persecuzione quello di libertà. Katz dà al Ghetto di Gaza il nome di città umanitaria. Dal punto di vista dei tedeschi anche il Ghetto di Varsavia doveva avere quella funzione, nell’attesa di decidere cosa fare dei suoi abitanti affamati.
L’orrore di Hamas, ma il peggio dopo
Nessuno dei 29 paesi firmatari né del centinaio di agenzie ha mai ignorato l’aggressione di Hamas il 7 ottobre 2023. Nessuno nasconde la brutalità terroristica di quel movimento. Ma dopo 22 mesi niente può giustificare il massacro che Israele compie a Gaza. Quando i russi bombardano, i civili ucraini si riparano nel sottosuolo e i loro soldati restano su a combattere. A Gaza è il contrario: ma cosa dovremmo aspettarci da un’organizzazione radicale islamica; e cosa da un Paese che pretende di essere una democrazia?
‘Ostaggi sacrificabili’
- Quelli di Hamas sono terroristi, è evidente. Ma come chiamare Orit Strock, la ministra israeliana per la Missione Nazionale (un altro esempio di lingua orwelliana)?. Strock sostiene che per annettere Gaza gli ostaggi israeliani sono sacrificabili. Secondo lei questi 22 mesi di guerra sono «tempi di miracoli»: accelerano la promessa divina della Grande Israele. Il messianismo ebraico non è minoritario: governa, è nei livelli più alti delle forze armate.
Rottura in Europa, a rischio gli Usa
L’isolamento d’Israele in Europa è ormai un fatto. Non lo era negli Stati Uniti: non nell’opinione pubblica né fra le comunità ebraiche. Ciò che è buono per Israele è buono per gli ebrei ma questo consenso «che per generazioni ha tenuto insieme gli ebrei d’America, si sta rompendo», commentava Ezra Klein, editorialista del New York Times molto ascoltato dai giovani. A novembre nella città più abitata dagli ebrei dopo Tel Aviv, contro le indicazioni di Benjamin Netanyahu è possibile che diventi sindaco il candidato democratico Zohran Mandani, musulmano di origini indiane. Il voto ebraico sarà determinante.
‘Non gradimento’ di Israele
- Secondo l’Istituto israeliano per la sicurezza nazionale, Inss, ormai solo il 54% degli americani ha un’opinione positiva d’Israele, il dato più basso dal 2000. Scomposto politicamente, a favore d’Israele sono l’83% dei repubblicani, il 48 degli elettori indipendenti, il 33 dei democratici. Fra questi il 59% dichiara una «grande simpatia» per i palestinesi.
Economia su cui litigare
- Israele ha un’economia da 550 miliardi di dollari. Nei primi 21 mesi di guerra la Borsa è cresciuta del 40%, del 20 quelle del resto del mondo nello stesso periodo. Non è la democrazia che pretende di essere ma del Medio Oriente è l’unico membro Ocse. Le sue forze armate non hanno paralleli nella regione. Che in pericolo sia la sicurezza d’Israele e non l’esistenza dei palestinesi, è francamente difficile da sostenere.
Informazione e disinformazione economica
Situazione economica di un Paese in guerra segreto strategico. Esempio classico la Russia in Ucraina che, analisi di economisti ed intelligence occidentali, tra sforzo bellico e sanzioni doveva crollare in breve tempo. Tre anni di guerra dopo, le difficoltà a reggere economicamente la sfida pesano forse più ad occidente, anche se la condizione economica a Mosca è peggiore di quanto vorrebbero far apparire. Ma questa è parte della ‘disinformazia’ che tutti, tutti tutti, applicano.
Esiste un ‘arbitro’ di cui fidarsi?
Le agenzie di ‘rating’. Una cosa è la cultura ebraica e un’altra cosa è il sostegno a Israele Stato-nazione ‘costi quel che costi’. Col debito pubblico che ha il Paese, la Bank of Israel è obbligata a tenere i tassi alti. E gli interessi che pagano in più sul debito si mangiano fette sempre più larghe di bilancio. Spinto dalla guerra, il debito si autoalimenta: sei costretto a prestarti nuovi soldi per pagare vecchi debiti che scadono. È un cane che si morde la coda.
Il debito quasi al limite
Nel 2024 il debito su Pil è arrivato al 6,9 per cento: quasi fuori controllo. Totale complessivo: 363 miliardi di dollari, cioè il 69 per cento del Pil, quest’anno viaggia verso l’80 per cento. Lo stato di guerra, con l’abnorme utilizzo di riservisti, inoltre, sta abbassando i volumi di tutti i piani produttivi e creerà problemi di tipo inflazionistico, avvertono gli economisti non arruolati. Rispetto a un anno fa il Pil è aumentato solo dell’1,5 per cento. Nonostante la massiccia spesa pubblica militare.
L’affidabilità creditizia di Israele
Moody’s valuta l’affidabilità creditizia di Israele come Baa1 con ‘outlook’, una prospettiva negativa. Il rating Baa1 è il più basso che Moody’s abbia mai assegnato a Israele. Fitch Ratings ha confermato la valutazione di ‘default’ in valuta estera, e altro ‘outlook negativo’. Standard and Poor’s ha confermato il rating di credito di Israele ‘a livello di rischio accettabile per gli investitori’, che aveva declassato due volte lo scorso anno, mantenendo però l’outlook negativo, il che significa che il Paese potrebbe dover affrontare ulteriori declassamenti.
25/07/2025
da Remocontro