25/11/2025
da Remocontro
‘La grande emigrazione da Israele’ la chiama il manifesto. «Guerra, oppressione, riforma della giustizia: sempre più israeliani ebrei decidono di lasciare il Paese. Nel 2023 il numero è schizzato a 82.800, per mantenersi stabile nel 2024». Da quale Israele stanno fuggendo?

L’Israele militare che fa paura agli ebrei
Chiara Cruciati racconta delle immaginette dei soldati israeliani morti nei vari fronti di guerra aperti da Israele negli ultimi due anni che trovi ovunque. «Alle stazioni degli autobus e dei treni, appiccicati sui lampioni, sulle vetrine dei negozi e sui distributori automatici. Ricoprono anche le antichissime porte di ingresso alla Città Vecchia di Gerusalemme». Non sono gli ostaggi di Hamas, ma i tanti soldati israeliani morti nelle troppe guerre di Netanyahu.
La paura del futuro biblico di potenza
Qualcosa di spontaneo che ha preso il posto i poster con i volti degli ostaggi a Gaza. Gli adesivi sono autoprodotti da famiglie e amici, ma la sua portata politica salta agli occhi. A favorire l’espressione collettiva di lutto, la spinta militarista che deforma la società israeliana e soprattutto, l’invito a proseguire. «A non chiudere i fronti bellici spalancati nella regione, la guerra permanente che nel caso di Gaza si è fatta genocidio. ‘Non dobbiamo fermarci’, recita uno degli slogan più comuni degli adesivi».
Sticker e immaginette a destra
Immaginette simbolo di un impulso sempre più acceso e radicale, da cui una parte della società israeliana, silenziosamente, si sta allontanando. Fisicamente. «Negli ultimi mesi ho perso almeno quindici amici, sia israeliani che palestinesi, tutti attivisti. Se ne sono andati, sono emigrati all’estero – ci dice D., membro di una ong per i diritti umani israeliana – Molti di loro hanno figli, non intendono crescerli qui, in questo tipo di società. Vanno via anche sostenitori del governo, in realtà: vivere in una zona di guerra permanente li spaventa».
Nuovo mercato immobiliare
Chi scappa per il futuro dei figli e chi deve fuggire dal presente di minacce. «Un’attivista di lungo corso, impegnata da anni al fianco dei palestinesi –racconta ancora Chiara Cruciati-, dichiarata antisionista, da mesi tenta di vendere la sua casa per potersi trasferire all’estero. Non ha ancora trovato acquirenti». Molti altri lo fanno, temendo che da razzismo e autoritarismo non si possa tornare indietro. Un unico pensiero mi frena: se noi ce ne andiamo, resteranno solo coloni, nazionalisti e religiosi».
Il governo che ne è la causa ora teme la fuga
Il fenomeno dell’emigrazione ebraica israeliana cresce e fa paura. Allo stesso governo che ne è la causa. I dati la Commissione per l’immigrazione della Knesset: se già nel 2022 avevano lasciato il paese 59.400 israeliani (+44% rispetto all’anno precedente), nel 2023 il numero è schizzato a 82.800 per mantenersi stabile nel 2024. Nello stesso periodo è calato drasticamente il numero di israeliani di ritorno: 24.200 nel 2023, 12.100 tra gennaio e agosto 2024. La percentuale di rientri è appena il 29% delle partenze, aggiunge la Commissione, per un totale di 130mila israeliani ebrei in meno da inizio 2022 a metà 2024, su sette milioni totali (comprensivi dei 700 mila coloni illegali tra Gerusalemme est e Cisgiordania).
‘Uno tsunami’
«Non un’ondata, ma uno tsunami…oggi un milione di israeliani vive in paesi stranieri», l’allarme alla Knesset. Le ragioni, il parlamento non l' ha ancora, «per lo meno non ufficialmente». E i numeri, secondo vari osservatori, sarebbero sottostimati: difficile tenerne traccia in tempi così stretti, ma fonti stampa – tra cui il quotidiano The Times of Israel citando nel 2024 la Population Authority – hanno parlato addirittura di mezzo milione di espatri. Certa è la tendenza, da tempo gli emigranti superano le nuove cittadinanze.
Studi ed analisi
Yinon Cohen, sociologo alla Columbia University. In una ricerca a quattro mani con Kaiting Zhou, spiega che «l’aumento dell’emigrazione iniziato prima di ottobre 2023 potrebbe essere collegato alla riforma giudiziaria avviata a gennaio 2023. L’impatto a breve termine dell’attacco del 7 ottobre sull’emigrazione israeliana è ancora più pronunciato». Se il numero di israeliani che ha lasciato il paese nel 2024 è doppio rispetto al 2022, Cohen traccia un parallelo con la Seconda Intifada, altro periodo di fuga consistente: all’epoca i tassi di emigrazione che raggiunsero l’apice nel 2001 si erano dimezzati nell’arco di cinque anni.
Molto più delle Intifade
«I recenti sviluppi in Israele non contribuiscono a ridurre l’emigrazione… Il consenso sulla guerra ha già iniziato a erodersi e, alla fine del 2024, il livello di solidarietà tra gli ebrei è diminuito drasticamente rispetto a dicembre 2023… Ci sono poche ragioni per aspettarsi che possa mitigare l’emigrazione, come è accaduto in passato… Infine, la riforma giudiziaria sembra riprendere slancio, sollevando ulteriori dubbi sul futuro dell’Israele democratico tra gli israeliani laici e progressisti, che tendono ad avere un livello di istruzione elevato e rappresentano il gruppo più a rischio di emigrazione».
Discriminazione politica pesante
Un professore emigrato in Europa dopo svariati tentativi di trovare un impiego nell’accademia israeliana. «Non mi hanno mai detto esplicitamente la ragione del rifiuto, ma dopo l’inizio della guerra un rettore mi ha parlato dei miei post sui social media e che se volevo avere un futuro qui era meglio rimanere in silenzio e non esprimere le mie opinioni. La mia famiglia e la mia compagna vivono in Israele, sarei voluto restare, ma non è un luogo dove persone estranee al consenso genocidario possano avere una carriera. Insomma, non ti mettono in prigione ma ti impediscono di guadagnarti da vivere».
Governo ed opposizione assieme
E l’opposizione che non agisce per niente come un’opposizione né a Gaza né a difesa della libertà di espressione. Ci sono motivazioni politiche per andarsene ma anche per restare e combattere. «Ho amici palestinesi delusi perché si sentono abbandonati in una società fascista. Altre persone all’estero pensano invece che la cosa migliore che un israeliano di sinistra possa fare sia lasciare il paese. Non concordo: non credo che il mio contribuito alla lotta palestinese sia un israeliano in meno».
Vita di guerra permanente?
«Accanto alla prospettiva della guerra permanente e all’assenza di una risoluzione dell’occupazione militare, pesa soprattutto la deriva verso la peggiore destra, resa plastica dai sondaggi che svelano maggioranze bulgare a favore dell’espulsione dei palestinesi, dalle violenze brutali dei coloni e dai dati sull’immigrazione: in Israele tendono a trasferirsi soprattutto ebrei religiosi e nazionalisti, per lo più da Francia e Stati uniti», la sottolineatura di Chiara Cruciati.
Salviamo figli e nipoti dai troppi Netanyahu
- Ad emigrare sono soprattutto persone con figli: non vogliono crescerli in Israele, chi perché la ritiene una società sempre più estremista, chi perché vede l’economia indebolirsi, chi perché non intende trasmettergli una normalità di guerra, di corse nei bunker sotto le scale: «Alla fine il luogo più pericoloso nel mondo per un ebreo è Israele -denuncia qualcuno -. E lì invece pensano di rischiare a Londra o a Berlino perché leggono un libro in ebraico o parlano in ebraico. È ridicolo. È vero, a volte mi sento a disagio, mi vergogno di dire che sono israeliano. Ma penso sia giusto che io provi vergogna».
Unico pensiero contro la fuga: «se noi ce ne andiamo, resteranno solo coloni, nazionalisti e religiosi».

