I segnali sembrano chiari: gli israeliani aspettano qualche rappresaglia iraniana, per contrattaccare in Libano. L’obiettivo potrebbe essere quello di ‘ripulire’ la fascia di confine con l’Alta Galilea, per una profondità di 15 chilometri, costringendo le milizie di Hezbollah a ritirarsi oltre il fiume Litani. I piani per un’operazione di questo tipo sono pronti da tempo, ma finora gli americani avevano frenato sull’aprire questo pericoloso fronte nord. Forzatura di Netanyahu o avallo di un Biden uscente?
Il logorante ‘Fronte Nord’
La situazione, dicono gli analisti militari, è ormai di piena emergenza. Hezbollah, con la sua guerra ‘a bassa intensità’, ha obbligato Netanyahu a sfollare più di 60 mila residenti. Gente che era quotidianamente esposta al lancio dei razzi dei miliziani sciiti. Un vero stillicidio, che il governo di Tel Aviv, sempre più dominato dall’ala degli ‘intransigenti’, ha deciso di troncare. Anche a costo di scatenare una guerra regionale. Un’occasione irripetibile, per alcuni strateghi ‘duri e puri” dello Stato ebraico, decisi ad affondare il colpo per distruggere, prima possibile, anche i siti per l’arricchimento dell’uranio degli ayatollah. Dunque, che l’invasione (oltre che dei bombardamenti stile-Gaza) del Libano sia un’opzione, è testimoniato dalle stesse parole dei generali israeliani.
La scusa dell’Iran e ‘si parte’
Proprio ieri, Ori Girdin, capo del Comando settentrionale dell’IDF, ha detto che “i piani offensivi sono pronti in vista di un attacco da parte dell’Iran e del suo rappresentante in Libano, Hezbollah. Siamo preparati a questo in tutti i ranghi – ha aggiunto il generale – da me fino all’ultimo soldato. L’esercito è determinato a cambiare la situazione, qui al nord, e a riportare a casa i nostri residenti”. Si tratta di una conferma esplicita di quanto dicevamo: Israele appare deciso a invadere il Libano del sud. Il concetto del ‘contrattacco’ è stato ribadito da Gallant, in un vertice col capo dell’Aviazione, Tomer Bar, al quale è stato raccomandato di tenersi pronti non solo alla difesa ma anche all’offensiva. E le mosse del Ministro della Difesa dimostrano che qualcosa bolle in pentola.
Pentagono nel ruolo di ‘riserva’
Secondo il portavoce del Pentagono, Pat Ryder, c’è stata una lunga telefonata “di consultazione” tra Gallant e il Segretario alla Difesa Usa, Looyd Austin. Tra le righe del comunicato si capisce, con una certa chiarezza, che Biden ha rinnovato a Israele il suo “incrollabile sostegno” militare. In sostanza, il pesante schieramento navale proposto dalla Casa Bianca in tutta la regione, forse si giustifica solo con la consapevolezza dei piani offensivi israeliani. Per affinare la cooperazione militare anti-Iran e prepararsi a ogni evenienza, ieri lo Stato maggiore israeliano ha discusso di piani (di difesa o di attacco?) congiunti con l’US Army. Per definire lo schieramento bellico israelo-americano si è recato a Tel Aviv lo stesso comandante del ‘Centcom’ in persona, Michael Kutilla.
Gli Usa a rincorrere il mondo arabo
Tutto questo mentre Biden e Blinken telefonavano a mezzo mondo arabo, per cercare di stemperare le tensioni con l’Iran. Escalation che non hanno però saputo (o voluto) controllare, consentendo, di fatto, a Netanyahu di assassinare la “controparte”, che stava negoziando il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Errore, incapacità, o subdola manovra politica tendente ad altri fini? Forse l’ultima. Una delle ragioni della pantomima diplomatica recitata dalla Casa Bianca (per chi ci crede), potrebbe essere quella che gli americani già “sanno” che Netanyahu attaccherà in Libano. Ma hanno solidi motivi elettorali per far credere il contrario. E lo devono sapere (o intuire) in molti, in Occidente, dato lo strano documento di “mediazione” prodotto dal G7. Tutto questo, mentre le compagnie aeree scappano da Beirut.
L’allarme dalla Turchia
Che il Libano possa diventare il prossimo bersaglio degli israeliani, pronti ad applicare una “Gaza-therapy”, lo dice uno dei più efficienti servizi segreti di tutta quella regione: il MIT, il Servizio di intelligence turco. Allora, per l’esattezza, il governo di Ankara non solo sconsiglia ai suoi cittadini di viaggiare nell’area di Beirut e dintorni, ma fa di più. Fornisce anche i nomi delle zone che vanno accuratamente evitate, perché potrebbero essere luogo di combattimenti: occorre abbandonare subito i Governatorati di Nebatiyeh, Bekaa e Baalbek-Hermel. Cioè quelli dove si concentra la presenza di Hezbollah.
Fragili equilibri
La verità è che tutti si muovono sulla lama di un coltello. Gli ayatollah sono “pressati” dalle Guardie rivoluzionarie per scatenare una rappresaglia di “sangue chiama sangue”. Ma nessuno vorrebbe dare a Netanyahu (e agli americani) l’alibi per distruggere i siti nucleari iraniani. E nemmeno la scusa buona per invadere il Libano.
Allora, potrà sembrare paradossale, ma i fragili equilibri politici in Medio Oriente, in questo momento, dipendono molto anche dal braccio di ferro all’interno del composito blocco di potere che esprime la teocrazia persiana. Tenere i nervi a posto è difficile, ma per l’Iran potrebbe essere politicamente molto più redditizio, piuttosto che vendicarsi a casaccio.
06/08/2024
da Remocontro