04/09/2025
da Remocontro
Mentre un Netanyahu ormai senza freni porta avanti il suo sogno biblico del ‘Grande Israele”, sul fronte interno (di cui in Europa non parla nessuno) i giochi politici sono ancora tutti aperti, anche se le prospettive restano caotiche.
L’aggressività strategica dello Stato ebraico
In fondo, la linea di estrema aggressività manifestata dallo Stato ebraico negli ultimi due anni è sì una reazione ai massacri del 7 ottobre, ma è anche e soprattutto una precisa scelta strategica. Fatta da un governo messianico-nazionalista che applica, senza preoccuparsi delle conseguenze, i suoi piani di espansione territoriale spacciata per ‘ricerca della sicurezza nazionale’. Durerà? Finora, gli specialisti hanno evidenziato che la pressione esercitata dagli alleati occidentali, per moderare le iniziative militari di Netanyahu (e le loro ingenti vittime collaterali) hanno clamorosamente fallito. Una risposta potrebbe invece arrivare dalla stessa popolazione israeliana. Provando a capovolgere le consuete analisi che si fanno sulla crisi mediorientale, si potrebbe sperare che nuove elezioni inducano un drastico cambiamento della classe dirigente, riequilibrando l’atteggiamento fin troppo estremistico dell’attuale governo.
Tutta la politica è in crisi
Certo, ci sono molti punti critici, che influenzano un’evoluzione di questo tipo, a cominciare dalle vistose spaccature esistenti nell’opposizione alla maggioranza che fa perno sul Likud di ‘Bibi’. Ma nemmeno Netanyahu sta messo meglio, perché, per rimanere al potere, deve districarsi in un ginepraio di piccoli e grandi diktat. Quelli che gli vengono da alleati indispensabili quanto scomodi, che lui, in cuor suo, odia con grande trasporto. Si tratta, innanzitutto, degli ‘invasati’, come Itamar Ben-Gvir (di Otzma Yeudith) e Bezalel Smotrich (di Mafdal-RZ) e dei partiti religiosi, che lo hanno messo spalle al muro sulla storia dell’esenzione dal servizio militare per gli ultraortodossi. Queste formazioni, quella della Torah e Shas, sono addirittura uscite dal governo, pur continuando a dargli l’appoggio esterno. Perché, dovete sapere, che la maggioranza parlamentare con la quale Capitan-Fracassa Netanyahu sta combinando tutto questo macello, si può contare sulle dita di una mano. Anzi, su un dito solo. Basta poco, insomma, perché tutto crolli come un castello di carte al primo refolo di vento. E lui non la passerebbe tanto liscia, perché è sotto processo nell’affaire ‘Qatargate’. Per corruzione.
Il mostro svelato
E poi ha nemici giurati a ogni angolo di strada, acquattati nell’ombra, soprattutto nella magistratura e tra i Servizi segreti, a cominciare dallo Shin Bet. Netanyahu ha cercato in tutti i modi di togliersi di torno il Procuratore generale di Israele, la signora Gali Baharav-Miara, ma ha trovato un osso durissimo, che ancora gli resiste e, anzi, attraverso prese di posizione pubbliche, fa conoscere il concetto molto personale che il premier ha della giustizia. Ma questo lo sapeva già tutto il pianeta, Stati Uniti ed Europa in testa. Cioè, proprio quelli che amano riempirsi sempre la bocca di ‘democrazia’, ma che evidentemente erano girati dall’altro lato quando Netanyahu ha cercato di forzare la mano con una riforma costituzionale che avrebbe messo i giudici sotto la sua fibbia. Riforma che ogni tanto fa capolino, a seconda di come stanno andando le cose sul campo di battaglia. Perché, intendiamoci, la chiave è soprattutto quella: ‘mors tua vita mea’. Fino a quando dura lo scannamento, pensa ‘Bibi’, e Washington è mia alleata e Bruxelles mi fa da complice morale, limitandosi a qualche strepito d’ordinanza, la poltrona non me la toglie nessuno. Dunque, diamo un’occhiata al fronte interno.
Caos Knesset
Si dovrebbe votare tra un anno (ottobre 2026) per rinnovare i 120 seggi della Knesset. Ma davanti allo scenario parlamentare israeliano, qualsiasi politologo si metterebbe le mani nei capelli, dato che la frammentazione dei consensi e così accentuata, che anche piccoli spostamenti possono dare risultati finali che non ti aspetti. Soprattutto, e questo va tenuto presente, le differenze ideologiche e di programma tra diversi gruppi sono minime, per cui è frequente assistere a scissioni e riaggregazioni che rendono costantemente caotico il quadro politico. Così, non è infrequente ritrovarsi nella maggioranza partiti che hanno fatto campagna all’opposizione. In cotanto bailamme, anche i sondaggi lasciano il tempo che trovano, perché spesso non riescono a percepire la crescita di ‘costole’ di gruppi più grandi, che si staccano ma poi, di fatto, riconfluiscono in corso d’opera. Quasi a certificare l’ipotesi che facevamo prima, cioè quella di un futuro elettorale dominato da un’opposizione che è più frammentata della stessa maggioranza, ecco il punto di vista di Aluf Benn, editorialista del quotidiano di Tel Aviv Haaretz
Distruzione Gaza annessione Cisgiordania
«Netanyahu guida una guerra di distruzione ed espulsione a Gaza – scrive Benn – di espropriazione e annessione in Cisgiordania e di letale abbandono della società araba israeliana, e si presenterà alle elezioni promettendo di accelerare l’espulsione (o “trasferimento”, nel linguaggio politico israeliano) ‘in tutta la Terra di Israele’. Il blocco opposto non ha questa coesione: include convinti esponenti della destra che non sono contrari né alla guerra né al trasferimento (Naftali Bennett, Avigdor Lieberman, Ayelet Shaked), candidati senza spina dorsale e opportunisti (Benny Gantz, Yossi Cohen), sostenitori del ‘due Stati, ma non subito’ (Yair Lapid, Gadi Eisenkot, Yair Golan) e partiti arabi, che gli altri evitano o con cui si rifiutano di collaborare. Netanyahu non avrà molte difficoltà a frammentare questo gruppo, come ha fatto ripetutamente negli ultimi 16 anni». È vero che la speranza è sempre l’ultimo sentimento che muore, ma in questo caso lo stesso coraggioso analista israeliano confessa che le possibilità di cambiamento sembrano ridotte. La verità è che la ‘malaise’ politica israeliana è insita nella sua stessa natura sociale, composita e multiculturale. Che in altre condizioni sarebbe una ricchezza ineguagliabile, ma in emergenza diventa motivo di profonde spaccature, che impediscono di trovare una linea unitaria.
Frammenti d’opposizione
Il Times of Israel riporta proprio il pensiero del capo dell’opposizione, il leader di Yesh Atid : «Le primarie sono finite, ma la nostra guerra è appena iniziata – ha detto Yair Lapid – non c’è nessuno tranne noi che offra a questo Paese una visione e una direzione diverse. Tutti si sono arresi e sono andati a stabilirsi sotto Netanyahu, e solo noi siamo rimasti, quindi solo noi faremo il cambiamento. Questo governo – ha proseguito – è responsabile del più grande disastro che abbia colpito il popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto, e ha un solo obiettivo: dimenticarlo. Far dimenticare che è successo sotto la loro supervisione. Non c’è Paese al mondo, nemmeno uno, in cui queste persone rimarrebbero in carica anche solo un giorno in più».
- Eppure, pensate, sembra un gioco di scatole cinesi. Se l’opposizione è divisa, persino il suo principale partito è spaccato. Alle recenti primarie si sono confrontate due anime, diverse su molti punti: su 587 votanti, Lapid ha vinto per soli 29 voti su Ram Ben Barak. Di fatto controlla mezzo partito, che ha in tutto 24 seggi. Di questo passo, se non lo arrestano, Netanyahu può continuare a bombardare chi vuole.