La tensione era annunciata e, puntuali, sono arrivati gli scontri. Poco prima della “Marcia delle bandiere” indetta dall’estrema destra per il “Jerusalem day”, la contestata cerimonia che celebra la riunificazione di Gerusalemme a seguito della Guerra dei 6 giorni del 1967, si sono verificati violenti incidenti tra giovani ebrei e arabi.
La marcia ha avuto inizio alla Porta di Damasco, zona di ritrovo per i palestinesi di Gerusalemme est che considerano la manifestazione una provocazione, e da lì è proseguita nella parte araba della Città Vecchia. “Morte agli arabi”, è stato uno dei cori intonati dagli ultranazionalisti, che hanno scandito anche slogan anti-islamici. Secondo il sito Ynet alcuni manifestanti hanno aggredito, spinto a terra e preso a calci il giornalista di Haaretz Nir Hasson, salvato solo dall’intervento della polizia di frontiera. Diciotto persone sono state arrestate, tra cui 5 attivisti ultranazionalisti che avevano lanciato oggetti contro alcuni giornalisti e tre persone finite in cella per violenza, condotta minacciosa, disordini e minacce agli agenti di polizia. Uno di loro è stato trovato in possesso di un coltello.
Le provocazioni erano cominciate in mattinata quando centinaia di fedeli ebrei – incluso il ministro del governo, Yitzhak Wasserlauf e il deputato Yitzhak Kreuzer (entrambi di Potere ebraico) – erano saliti sulla Spianata delle Moschee che per gli ebrei è il Monte del Tempio. La polizia – secondo Haaretz – aveva arrestato alcuni di questi fedeli che cercavano di pregare e di sventolare bandiere israeliane, atti proibiti dalle regole in vigore sul posto. A soffiare sul fuoco era stato martedì il ministro della sicurezza nazionale e leader di destra radicale Itamar Ben Gvir, annunciando la sua presenza alla marcia: “Il Monte del Tempio e Gerusalemme sono nostri. Dobbiamo colpirli dove è più importante per loro”, aveva detto. “Marceremo verso la Porta di Damasco e – aveva annunciato alla Radio militare – andremo al Monte del Tempio nonostante loro”.
Sul fronte politico Ben Gvir continua a minacciare la tenuta della maggioranza. Non vuole saperne di mettere fine all’operazione militare a Gaza e da giorni insieme al collega Bezalel Smotrich (Sionismo religioso) minaccia di far cadere Netanyahu. Oggi ha fatto la prima mossa: ha annunciato che il suo partito, il movimento di estrema destra Otzma Yehudit, “sospenderà” la sua partecipazione alla coalizione di governo fino a quando il premier non avrà fornito i dettagli della proposta di cessate il fuoco e liberazione degli ostaggi proposta dagli Stati Uniti. “Fino a quando il primo ministro continuerà a nascondere i dettagli dell’accordo, Otzma Yehudit interromperà la partecipazione alla coalizione”, ha scritto su X, e non voterà con la coalizione di governo alla Knesset. Gvir e altri parlamentari di estrema destra hanno affermato che non accetteranno un accordo con Hamas che ponga fine alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi.
Il leader di Potere ebraico aveva puntato il dito contro Netanyahu già lunedì: “Gli ho chiesto se potevo dare un’occhiata alla bozza dell’accordo – aveva raccontato -, e lui ha accettato dicendo che potevo andare nel suo ufficio in modo da poter vedere la bozza con i miei occhi. Peccato che i suoi assistenti mi abbiano detto, quando sono andato, che non esiste alcuna bozza“. Lo stesso giorno fonti dell’ufficio del premier avevano fatto sapere che era stato spiegato a Ben Gvir che nell’eventuale accordo “non c’è la fine della guerra”.
Oggi, poi, l’estrema destra di governo è tornata alla carica. “Tutti i negoziati con Hamas avverranno solo sotto il fuoco“, ha detto il ministro della difesa Yoav Gallant che oggi ha volato sui confini con Gaza e il Libano. “Gli attacchi dell’Idf sono visibili su ogni fronte. Andremo avanti e – ha aggiunto – logoreremo il nemico”. “Non fermarti. Stiamo vincendo”, ha detto, rivolto al premier Netanyahu, Gvir durante la marcia. Che, ha detto il leader dell’estrema destra, è un messaggio ad Hamas che “Gerusalemme è nostra, la Porta di Damasco è nostra, il Monte del Tempio è nostro. E la vittoria completa è nostra”.
Nel pomeriggio Gvir aveva invocato anche un’operazione militare contro il Libano, dove oggi un uomo di nazionalità siriana ha aperto il fuoco vicino all’ingresso dell’ambasciata americana, a Beirut. “Non può essere che la nostra terra venga presidiata e che ci sia la pace in Libano: dobbiamo bruciare tutte le roccaforti di Hezbollah, distruggerle. Guerra!”, ha scandito il ministro della Sicurezza in un video pubblicato sul social X.
06/06/2024
da Il Fatto Quotidiano