30/04/2023
Antonello Patta
responsabile nazionale lavoro PRCI
I salari medi reali delle lavoratrici e dei lavoratori in Italia sono diminuiti del 3% negli ultimi 30 anni, del 12% dal 2008; l’abbiamo detto e scritto più volte, ma non per questo i dati perdono la loro drammatica attualità specie se confrontati con altri paesi europei dove nello stesso arco di tempo i salari sono aumentati del 30, 40, 50%.
Ha agito in Italia un massiccio trasferimento di ricchezza dai salari e dalle pensioni ai profitti reso possibile anche da rinnovi contrattuali bloccati per anni e poi quasi sempre firmati al ribasso con conseguente perdita di potere d’acquisto delle remunerazioni; la compressione dei salari è stata favorita dal potere di ricatto padronale sui lavoratori aumentato negli anni a causa della frantumazione del mondo del lavoro in mille figure lavorative e profili contrattuali, delle catene di appalti e subappalti, della disoccupazione e dell’estensione raggiunta dal lavoro precario che oggi colpisce milioni di persone, soprattutto donne e giovani.
Tutto ciò è stato aggravato dalla crescita dell’inflazione causato da rotture nelle catene globali prima e resa esponenziale da guerra, sanzioni e attività speculative sui prezzi che hanno accresciuto moltissimo i profitti; il risultato è stata un’ulteriore erosione del potere d’acquisto dei salari di oltre il 10%.
Il risultato è che oggi in Italia, anche lavorando a tempo pieno si può essere poveri come testimoniato da diverse indagini che sul totale degli occupati di età compresa tra i 18 e i 64 anni indicano in 3 milioni il numero dei lavoratori poveri, il 13% del totale; ancora, ben 4 milioni di Lavoratori ricevono retribuzioni orarie inferiori a 9 euro lordi e una grandissima parte di questi riceve paghe orarie infami da 3, 4, 5 euro l’ora.
Siamo dunque in una condizione di gravissima violazione del dettato costituzionale che nell’art. 36 prescrive che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”
L’unione Europea nell’individuare giustamente il salario minimo come uno strumento decisivo per impedire l’impoverimento in atto, non ha però visto come anche nei paesi, come l’Italia, a larga diffusione della contrattazione collettiva, questa non sia in grado di risolvere il problema. Lo testimoniano le sentenze dei tribunali che hanno dichiarato incostituzionali salari stabiliti da contratti firmati anche dai sindacati confederali e obbligato i padroni ad applicare maggiorazioni significative.
A ciò si aggiunga che in Italia ogni padrone si può inventare la propria controparte e scegliere il proprio contratto come confermato dalla proliferazione di contratti pirata firmati da sindacati gialli e si consideri l’alto numero di lavoratori dipendenti camuffati da lavoratori autonomi proprio per mantenere basse le retribuzioni complessive. È del resto per motivazioni analoghe che paesi come la Francia e la Germania, che pure hanno salari medi ben più alti, hanno varato leggi che prevedono retribuzioni orarie minime obbligatorie che l’attuale governo tedesco ha innalzato a 12 euro l’ora.
Riteniamo del tutto infondata l’obiezione in base alla quale la fissazione di una soglia salariale minima sarebbe di ostacolo alla contrattazione che anzi trarrebbe nuova linfa dall’innalzamento della base salariale minima su cui costruire l’architettura contrattuale che è costituita dai livelli d’inquadramento superiori a quello base e dall’insieme di istituti che compongono il salario complessivo.
E’ per tutte queste ragioni che riteniamo non più rinviabile l’introduzione per legge di un salario minimo di 10 euro l’ora indicizzato all’inflazione, e che su questo come Up stiamo presentando una proposta di legge di iniziativa popolare su cui avvieremo la campagna di raccolta firme con banchetti in tutta Italia a partire dalla fine di maggio.