07/11/2025
da Avvenire
Inger Andersen delle Nazioni Unite, in Consiglio si sicurezza, ha ricordato che i conflitti lasciano dietro di sé città in rovina e popoli distrutti, terre morte, fiumi inquinati. Gli esempi drammatici di Gaza e della Siria
I vincitori li chiamano «effetti collaterali», o «inevitabili conseguenze». Il loro vero nome è crimini contro l'ambiente e l'umanità che lo abita. Ne è convinta l’Onu, che da anni invoca la creazione del reato di “ecocidio”. Lo ripropone nei giorni in cui i leader del mondo sono a Belém in Amazzonia per la Cop30, che parte già in salita per l'ostilità da parte di Paesi, primo fra tutti (“the first”) gli Stati Uniti che hanno inviato una delegazione di bassissimo livello a negoziare il futuro del Pianeta.
A Gaza – dicono le Nazioni Unite –, dal 2023 ad oggi sono scomparse il 97% delle colture arboree, il 95% degli arbusti e l'82% delle colture annuali. L'acqua è contaminata da munizioni e liquami e 61 milioni di tonnellate di detriti devono essere rimossi per non aggravare la contaminazione. L’altro ieri la Fao, il fondo per l’alimentazione delle Nazioni Unite, ha aggiunto e certificato che meno del 5% dei terreni agricoli rimane coltivabile, dopo che oltre l'80% dei terreni coltivati è stato distrutto dalla guerra nella Striscia. Il fondo ha classificato la Striscia di Gaza come una delle quattro peggiori crisi alimentari al mondo per il 2024-2025, insieme a Sudan, Yemen e Afghanistan, chiedendo al mondo una risposta urgente e multisettoriale che comprenda sicurezza alimentare, acqua, salute e supporto psicosociale per evitare un completo collasso umanitario nella
In Siria la distruzione della diga di Kakhovka ha allagato più di 600 chilometri quadrati di terreno, mentre ad Haiti l'erosione e l'inquinamento delle acque minacciano la diffusione del colera. È quanto ha denunciato con veemenza, al Consiglio di sicurezza dell'Onu a New York, il direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep), Inger Andersen: le guerre – ha insistito – lasciano dietro di loro città in rovina e popoli distrutti, ma anche terre morte, fiumi inquinati, campi aridi.
I disastri naturali alimentano da decenni le rivalità per l’acqua o la terra e la guerra distrugge gli ecosistemi, secondo Andersen, e si «sta affermando un nuovo circolo vizioso: l’ambiente diventa sia vittima che vettore dell’insicurezza globale». Il cambiamento climatico è dunque un fattore che si aggiunge alle tensioni religiose, etniche o territoriali, le avvelena e fa precipitare le crisi. Dalle pianure del Sahel agli altopiani afghani, la scarsità d'acqua, la perdita di raccolti e gli incendi boschivi stanno causando massicci sfollamenti e nuove rivalità. E il vuoto giuridico di fronte a queste devastazioni non aiuta, ha denunciato Charles C. Jalloh, membro della Commissione di diritto internazionale. È necessario quindi colmare le lacune del sistema includendo gli attacchi massicci alla natura nel diritto penale internazionale riconoscendo il crimine di ecocidio allo stesso modo dei crimini di guerra o dei crimini contro l'umanità.

Jalloh ha inoltre proposto la creazione di un meccanismo delle Nazioni Unite per monitorare e compensare i danni ambientali legati ai conflitti. In conclusione è stato detto "proteggere il pianeta significa evitare che la guerra metta radici nella terra". E tra le rovine e i danni irreparabili delle contaminazioni è ancora più facile che lo faccia.

