L’Italia si è affermata come uno dei principali esportatori di armi pesanti, segnala Sipri. Mentre Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa avverte che il nostro Paese retrocede dal 41esimo al 46esimo posto della classifica. Con troppe ‘distrazioni’ sul genocidio di Gaza.
Dalla propaganda alla realtà
Secondo Sipri, l’istituto di ricerca sulla pace di Stoccolma, l’Italia è salita dal decimo al sesto posto tra gli esportatori mondiali di armi pesanti nel quinquennio 2020-2024, con un aumento delle vendite del 138%, il più alto in termini percentuali a livello globale. Altro fronte. Rapporto 2024 di Reporter Senza Frontiere: «La libertà di stampa in Italia continua ad essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, soprattutto nel sud del Paese, e da vari piccoli gruppi estremisti violenti. I giornalisti denunciano anche i tentativi politici di ostacolare la loro libertà di seguire i casi giudiziari attraverso una ‘legge bavaglio’, voluta dal governo Meloni.
Partita ‘trasparenza’ e i numeri
Torniamo al Sipri di Stoccolma. Italia al sesto posto tra i maggiori esportatori mondiali di armi pesanti, un aumento vendite del 138%, e la quota italiana sul mercato internazionale al 4,8%, con il Medio Oriente come prima destinazione. In particolare verso Israele dove l’Italia risulta secondo fornitore dopo gli Stati Uniti, coprendo il 13% delle importazioni di armamenti definiti genericamente ‘della regione’. Un settore in espansione con che protagoniste ‘Leonardo’, con ordini per 44 miliardi di euro, e Fincantieri a 51,2 miliardi. Su Israele e tornando alla stampa, l’Ordine dei Giornalisti italiano, ha denunciato il massacro dei colleghi palestinesi, parlando di ‘blackout mediatico’ imposto da Tel Aviv.
Africa nuovo mercato
Un dato significativo e sorprendente assieme viene dall’Africa, che assorbe quasi il 14% delle autorizzazioni all’export bellico italiano, circa 893 milioni di euro nel 2024. L’Africa subsahariana (586,6 milioni) supera il Nordafrica, con la Nigeria come terzo destinatario assoluto, dopo Indonesia e Francia, con acquisti per 480,7 milioni di euro. Questo balzo legato al contratto stipulato da Leonardo con Abuja per la fornitura di 24 aerei M-346, per ‘addestramento avanzato e all’attacco leggero’. Sorprende soprattutto l’Egitto con 263 milioni di euro (+1600% rispetto al 2023, precisa Giuseppe Gagliano su InsideOver).
Riarmo Nato
L’Italia si prepara a rafforzare il proprio apparato militare, anche se non è affatto chiaro, con quali soldi, e presi a scapito di cosa. La Nato aveva richiesto un aumento della spesa militare dall’1,5% al 2% del Pil, che la premier ha dichiarato che raggiungeremo quest’anno. Sempre senza spiegare con quali soldi. Probabili trucchi contabili per ben figurare con Washington. Anche se Trump spinge per un obiettivo iperbolico del 5%.
‘Banche armate’
Secondo l’Osservatorio Milex, il riarmo italiano è in pieno corso, con programmi approvati per 73 miliardi di euro. Cresce il settore e crescono le banche che finanziano. Attori principali Unicredit, Deutsche Bank e Intesa Sanpaolo, che coprono il 69% del valore totale. Tanti soldi e poca trasparenza. Disegno di legge governativo già approvato al Senato, che accentra le decisioni sull’export bellico nelle mani del Governo, riducendo il ruolo del Parlamento e degli organismi tecnici.
Clima politico culturale
La guerra domina la realtà e lo scontro politico. Le manifestazioni per la pace sovente criminalizzate rispetto alla parte che reputano vittima. La criminalizzazione del sostegno alle vittime palestinesi negli Stati Uniti è l’emblema più tragico oltre che vergognoso. Il Governo Meloni cavalca l’onda del riarmo per rispondere alle pressioni della Nato e consolidare un settore economico strategico. Ma è possibile conciliare la crescita dell’industria bellica con la necessità di trasparenza e responsabilità? La scelta dell’attuale governo sembra privilegiare il profitto a scapito dell’etica.
Finale stampa su Gaza
Nel cuore dell’Impero qualcosa intanto si sta incrinando. Dopo diciotto mesi di distruzione sistematica, bombe su scuole, ospedali e panifici, e una montagna di cadaveri, «una serie di testate prestigiose ha invocato la fine della strage a Gaza», sottolinea Paolo Mossetti. Il piano di occupazione permanente della Striscia da parte del governo Netanyahu, «ha fatto traboccare l’ultima goccia?». Ed accade che Financial Times, Economist, Independent e The Guardian hanno pubblicato editoriali che definiscono l’operazione israeliana per quello che è: «un crimine contro l’umanità, compiuto con la complice acquiescenza di Stati Uniti ed Unione Europea».
«Sì, è un genocidio»
Il comitato di redazione del Financial Times ha parlato di «vergognoso silenzio occidentale». The Economist, ha detto che «l’unico a beneficiare della guerra è Netanyahu e i suoi soci etno-messianici». The Independent ha chiesto ai Governi occidentali di «rompere il silenzio assordante». E infine The Guardian pubblica l’ex capo della diplomazia europea, il socialista spagnolo Josep Borrell, che parla esplicitamente di ‘pulizia etnica’ e si chiede a che punto l’Ue possa tollerare tutto questo.
In Italia molti distratti
Persino il New York Times pubblica le foto dei soccorritori palestinesi uccisi. Se n’è accorto l’Ordine dei Giornalisti italiano, che in una dichiarazione approvata all’unanimità ha denunciato qualche giorno fa il massacro dei colleghi palestinesi, parlando di «blackout mediatico imposto da Tel Aviv».
Cosa vuol dire tutto questo? si chiede Mossetti. Che l’aria sta cambiando. L’Occidente mediatico sta capendo – tardi, ma con sufficiente panico – che essere rimasti silenti per un anno e mezzo davanti a un genocidio non farà bella figura sui libri di storia. E allora si corre ai ripari. Si pubblicano editoriali, si ritrattano posizioni, si invocano cessate il fuoco. Chissà dove iniziano le prese di coscienze e dove la difesa del brand», della propria immagine ormai segnata.
17/05/2025
da Remocontro