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The italian job: il Belpaese che esporta scandali in Unione Europea

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Attualità

04/12/2025

da Il Fatto Quotidiano

Giuseppe Pipitone

Bruxelles. Dai sacchi di soldi dall’Emirato al caso Huawei, fino al College of Europe: politici e lobbisti coinvolti sono quasi sempre italiani

Italians do it better. Lo slogan preso in prestito da Madonna tradisce sarcasmo se a pronunciarlo è chi a Bruxelles sta seguendo l’ultima indagine che ha scosso i palazzi del potere. In attesa di capire il destino giudiziario dell’ex ministra Federica Mogherini, infatti, c’è un elemento che ha subito colpito giornalisti e investigatori della Procura europea: le persone fermate (e poi rilasciate) sono tutte italiane. Una caratteristica che in Belgio sta diventando una costante, quando si parla di mazzette.

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LEGGI – Immunità per il Qatargate: la commissione del Parlamento Ue affonda Moretti e salva Gualmini

Solo per rimanere agli ultimi anni, erano italiani quasi tutti gli indagati del Qatargate, l’inchiesta che aveva colpito al cuore la Capitale Ue nel 2022. Ed erano italiani molti dei politici e dei lobbisti coinvolti nel cosiddetto caso Huawei, scoppiato nel marzo scorso. Ora tocca ai fermi-lampo di Mogherini, dell’ambasciatore Stefano Sannino e del manager Cesare Zegretti, accusati di corruzione e frode nell’appalto della nuova Accademia diplomatica europea. Tre indizi fanno una prova? Le accuse sono tutte da dimostrare, ma in Belgio hanno già cominciato a parlare di Italian Job. Nel film con Edward Norton e Charlize Theron (remake di Un colpo all’italiana) i protagonisti erano rapinatori americani in trasferta in Italia. Qui invece sono gli italiani che finiscono sotto inchiesta all’estero per questioni di tangenti: non è un film, ma la dura realtà. Che nel Belpaese degli scandali si ripete ciclicamente.

Sarà un caso ma sono italiani anche molti dei giornali che hanno fatto a gara per bollare come un flop il Qatargate, nonostante sacchi di denaro trovati in casa di alcuni indagati. È vero che l’inchiesta ha subito varie battute d’arresto e tre anni dopo è finita in una sorta di secca procedurale. Ma è sulla base degli elementi raccolti dalla Procura federale di Bruxelles che ieri la Commissione giuridica del Parlamento Ue ha votato per revocare l’immunità ad Alessandra Moretti, respingendo la stessa richiesta per Elisabetta Gualmini.

Le eurodeputate del Pd sono le ultime politiche finite nell’indagine che ipotizza un giro di mazzette pagate da Qatar e Marocco per influenzare le scelte dell’Eurocamera. L’inchiesta era scoppiata il 9 dicembre di tre anni fa con gli arresti dell’ex eurodeputato dem Pier Antonio Panzeri, dell’allora vicepresidente del Parlamento Ue Eva Kaili e di Francesco Giorgi, assistente del primo e compagno della seconda. Furono poi coinvolti altri eletti dei Socialisti: il napoletano Andrea Cozzolino, Marc Tarabella e Maria Arena, belgi ma con evidenti origini italiane. L’indagine ha subito un primo stop con le dimissioni del giudice Michel Claise per un caso di conflitto d’interessi: suo figlio era socio del figlio di Arena. Poi i legali di Kaili avevano ottenuto l’apertura di un procedimento davanti alla Corte d’appello – previsto dalla legge belga – per valutare la legittimità delle indagini.

L’iter è ancora in corso: gli avvocati contestano la violazione dell’immunità della parlamentare. Per gli inquirenti, però, i soldi trovati in casa di Kaili e di Giorgi (150 mila euro, più altri 600 mila in una borsa affidata al padre dell’ex deputata) bastavano per contestare la flagranza di reato che fa decadere lo scudo. Secondo il quotidiano Le Soir, pochi giorni fa a Kaili e Giorgi è stato contestato di aver pagato 100 mila euro in contanti come anticipo per una casa. In un primo momento, l’ex assistente di Panzeri sembrava voler collaborare alle indagini, ma poi ha cambiato versione, sostenendo di essere stato costretto a fare alcune dichiarazioni. Recentemente, Giorgi e Kaili hanno denunciato per calunnia Panzeri, che invece si è accordato con la Procura, mettendo a verbale alcune accuse. Anche l’ex eurodeputato conservava molto denaro liquido in casa: circa 600 mila euro.

Sono 6.700, invece, gli euro arrivati sul conto di Fulvio Martusciello, uomo forte di Forza Italia e fedelissimo di Antonio Tajani. Bonifici sospetti per la Procura di Bruxelles, che indaga su un presunto giro di mazzette organizzato da lobbisti del colosso Huawei: alcuni europarlamentari dovevano fare pressing sulle istituzioni Ue per evitare l’esclusione delle società cinesi dai bandi per lo sviluppo della rete 5G. Cosa poi effettivamente avvenuta. Per Martusciello e l’altro berlusconiano Salvatore De Meo pende ancora la richiesta di revoca dell’immunità parlamentare. L’indagine aveva portato agli arresti di un’assistente di Martusciello, Luciana Simeone, e di Valerio Ottati, lobbista Huawei, tra i personaggi chiave dell’inchiesta: è nato in Belgio, ma la sua famiglia viene dalla Basilicata. Come dire: alla fine, se cerchi bene, le indagini per corruzione in Ue parlano sempre italiano. Anche se con un forte accento francese.

Ai tempi di Tangentopoli, Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo avevano coniato la locuzione di “dazione ambientale” per spiegare come la mazzetta fosse diventata regola nella Milano da bere. Altri tempi. Dopo l’abolizione delle frontiere, invece, il rischio è che la corruzione cominci a essere percepita come un prodotto tipico della nostra tradizione: pasta, pizza e mazzette. The Italian job, appunto.

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