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Italiani senza cure. E la premier è nervosa

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RISORSE ZERO. I manganelli con cui è stata accolta la protesta degli studenti torinesi dimostrano il nervosismo che circonda Giorgia Meloni in questi giorni. Soprattutto quando deve affrontare il tema spinoso della sanità. 

I manganelli con cui è stata accolta la protesta degli studenti torinesi dimostrano il nervosismo che circonda Giorgia Meloni in questi giorni. Soprattutto quando deve affrontare il tema spinoso della sanità. Si avvicina il giorno in cui la legge di bilancio deve arrivare in parlamento e a Bruxelles, e Meloni mette le mani avanti spiegando che «le priorità sono molte e le risorse poche». Per il rilancio del servizio sanitario nazionale non ci saranno probabilmente nemmeno quei quattro miliardi chiesti senza troppa convinzione dal ministro della salute Orazio Schillaci.

Meloni sa che su salari e salute, questioni rilevanti non solo per gli elettori dell’opposizione, il suo consenso rischia di implodere. Persino Matteo Salvini ha capito che il momento è delicato. Mentre salutava garrulo i nuovi treni a batteria e a idrogeno, ieri si è messo l’elmetto – anzi, il berretto del capostazione – e ha invitato anche i suoi a «non disturbare il conducente per i prossimi cinque anni, com’è scritto sull’autobus».

Eppure, a smontare la narrazione della destra è il fuoco amico della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) redatta dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti. La Nadef prevede che in assenza di interventi radicali nella prossima finanziaria, la quota del Pil destinata alla sanità nel 2024 scenda al 6,2% – mentre in Francia e Germania supera il 10%.

Sempre secondo la nota, il calo continuerà negli anni successivi fino a riportare la spesa sanitaria pubblica ai livelli del 2003: un salto all’indietro di vent’anni.

Nel frattempo, l’età media è salita da 42 a 48 anni e pandemia e crisi ambientale hanno fatto emergere nuovi bisogni di salute. Finora gli italiani vi hanno fatto fronte di tasca loro portando la spesa privata oltre i 40 miliardi di euro. I numeri della Nadef, che i mercati hanno giudicato persino ottimistici, dimostrano dunque che i miseri quattro miliardi agognati invano da Schillaci non basterebbero a recuperare l’inflazione e corrispondono a un taglio di fatto alla spesa sanitaria. In ogni caso, a sentire Giorgetti, non arriveranno nemmeno quelli.

Guardando negli occhi i presidenti di regione, Meloni a Torino ha chiesto di «non concentrarsi solo sulle risorse, ma di riflettere anche su come vengono spese». Serve a distrarre l’opinione pubblica ed è anche un messaggio non del tutto infondato rivolto agli amministratori: da oltre un ventennio la sanità è organizzata su base regionale e molti sprechi e disservizi nascono nel sottogoverno locale.

Da quando è arrivata al governo, tuttavia, la destra ha assecondato in pieno questa deriva. Lo testimoniano la rinuncia a portare l’assistenza territoriale nell’alveo del servizio pubblico con i fondi del Pnrr, il mantenimento dei tetti di spesa regionali che frenano le assunzioni di sanitari nel servizio pubblico, le sovvenzioni alle farmacie private, il condono annunciato per le aziende produttrici di dispositivi medici, il rifiuto di abolire il numero chiuso nelle facoltà di medicina nonostante i neolaureati non bastino a coprire i posti disponibili nelle scuole di specializzazione.

Per giunta, ai “governatori” la presidente del Consiglio ha confermato l’obiettivo dell’autonomia differenziata che permetterà alle Regioni di allargare il ricorso a mutue e assicurazioni sanitarie: un altro regalo alla sanità privata riservato a chi potrà permettersela.
Con un investimento pubblico sotto i livelli di guardia e servizi ridotti al lumicino, gli italiani potrebbero infatti non dover scegliere più tra sanità pubblica o a pagamento, ma tra curarsi o no. Nel 2022 secondo l’Istat sono stati già quattro milioni gli italiani costretti alla rinuncia a causa dei costi e delle liste d’attesa.

Un’opposizione intelligente avrebbe la possibilità di mettere alle corde il governo sul tema della salute di cui tutti colgono l’importanza. Certo, richiederebbe l’umiltà di riconoscere che anche il centrosinistra nazionale e locale ha spesso favorito la privatizzazione delle cure.
L’occasione per indicare un’altra direzione arriva il 7 ottobre, con una manifestazione nazionale che unirà associazioni e sindacati – ma anche cittadine e cittadini – contro le politiche della destra asociale e a difesa dei diritti costituzionali. Quello alla salute è tutelato all’articolo 32, ma in ordine di importanza oggi è il primo della lista.