Assange, no all’estradizione: l’Alta Corte di Londra gli accorda un nuovo appello. “Non infondati i timori che negli Stati Uniti sia sottoposto a processo ingiusto”
Ora non venite a dirci che la democrazia occidentale è un modello universale. La buonissima notizia che giunge da Londra ci riempie di gioia e va ascritta ad onore e merito delle mobilitazioni mondiali a favore del giornalista australiano fondatore di Wikileaks. Essa rappresenta senz’altro una tappa importante: riconoscendo la fondatezza del suo ricorso, che ha posto dubbi circa la garanzia di un giusto processo negli Stati Uniti, l’Alta Corte di Londra ha concesso un’ulteriore possibilità di appello a Julian Assange contro l’estradizione negli Usa. Giochi dunque aperti.
Come ha subito detto il consulente legale di Amnesty International, Simon Crowther, si tratta di “una rara buona notizia per Julian Assange e per tutti coloro che difendono la libertà di stampa”, dove a colpire è, ovviamente, quel rara che sta a dire dell’intento persecutorio della caccia scatenata contro di lui e dell’indifferenza verso la libertà dell’informazione.
Nonostante l’Alta corte non sia affatto rappresentata da esponenti del progressismo radicale, con la sua conclusione dice al mondo che, se venisse estradato negli Usa, Assange potrebbe rischiare gravi violazioni dei diritti umani come l’isolamento prolungato, in contrasto col divieto di tortura e altri maltrattamenti. Non una quisquilia, dunque. Il punto di rottura di questa offensiva contro Assange deve esser stata il superamento della decenza della macchina repressiva, oltre che l’opportunità politica (dopo Navalny occorre uno ‘stacco’).