20/08/2025
da Remocontro
Il Presidente Trump ha forse un’arma segreta contro il tangibile ostruzionismo europeo sul suo piano di pace per l’Ucraina? Certo, i ‘dazi secondari’. E la sfilata di Washington, con i leader ‘volenterosi’ considerati e trattati quasi come tappezzeria diplomatica, lascia perplessi.
Osservazioni d’ordinanza e flebili distinguo
I capi di governo europei hanno espresso solo osservazioni di ordinanza e qualche flebile distinguo. Ma, in generale, hanno ingoiato il rospo, consci che la loro trasvolata atlantica non era servita a niente. Tutto era stato deciso già prima e loro hanno semplicemente ricevuto una ‘notifica’. L’impressione è che se si dovesse mettere veramente male (e sul campo di battaglia le cose stanno andando a rotoli) Trump, pressato dagli ‘alleati’ che chiedono di passare alle maniere brusche, stringendo ancora il rubinetto delle sanzioni, potrebbe fare una controproposta: ‘dazi secondari’ per tutti. Cioè, la famosa «tassa-Putin», il sovrapprezzo tariffario sproporzionato (fino al 100%) che si dovrebbe pagare per quei prodotti che arrivano da Paesi che importano materie prime dalla Russia. A cominciare dal petrolio. Una scelta rovinosa che già la Casa Bianca ha fatto con l’India e, in un certo senso, anche maltrattando Brasile e Sudafrica. Una scelta che ha annunciato di voler fare pure con la Cina. E qui non citiamo tutta la sfilza degli altri Paesi, già colpiti di rimbalzo da questa ennesima gabella punitiva, che va considerata una clava politica. Una mossa di questo tipo, se messa in atto dall’Europa, sarebbe letteralmente un suicidio senza senso. Se non quello di metterci contro i tre quarti del pianeta, partendo dal Sud del mondo.
La triade Merz, Starmer, Macron
Certo, vorremmo vedere le facce della ‘Triade’ Merz, Starmer e Macron se, come si sente sussurrare, Trump dovesse arrivare a chiedere agli eroici ‘volenterosi’ di passare alla guerra commerciale con i loro antichi mercati, per cercare di fermare la Russia. Per ora, abbiamo il caso-scuola dell’India, da studiare attentamente, per evitare di prendere un muro di calcestruzzo in faccia, anche noi. Dunque, tanto per far capire l’aria che si respira, diciamo che recentemente il Consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, in un articolo di opinione apparso sul Financial Times, ha scritto che «Nuova Delhi si sta avvicinando sia alla Russia che alla Cina. Ma se l’India vuole essere trattata come un partner strategico degli Stati Uniti, deve iniziare a comportarsi come tale». Insomma, il messaggio è chiaro. E prende spunto dalla sostanziale politica di ‘non allineamento’ perseguita dal colosso asiatico, che con sofisticate manovre di equilibrismo diplomatico ha cercato di non scontentare né Mosca e né Washington. Ma l’India ha bisogno di energia a basso costo per il suo sviluppo e, quindi, soprattutto del petrolio russo a buon mercato. Si tratta di un Paese di oltre un miliardo e 400 milioni di persone, che manifesta gravi problemi di ‘convergenza’ per la crescita, avendo ancora grandi regioni povere di infrastrutture e servizi.
India, sud del mondo e ‘tassa Putin’
Insomma, l’Ucraina è lontana anni luce dalle bidonville di Mumbay o di Madras. Proprio tenendo conto di queste esigenze prioritarie, il premier, Narendra Modi, ha cercato di avere un approccio cooperativo in politica internazionale, per spingere la crescita del Pil attraverso il rilancio dell’industria manifatturiera, cioè di un settore ad alto assorbimento di manodopera. Ed è proprio più per l’impatto sociale che per gli effetti generali sull’economia, che la ‘tassa-Putin’ decisa da Trump, in aggiunta ai dazi ordinari (25+ 25%), sta preoccupando il governo indiano. L’agenzia di rating Fitch ha già abbassato le stime di crescita del Pil, che nell’anno 2026 sarà sicuramente inferiore al 6,5% che era stato programmato. Secondo uno studio del quotidiano Indian Express, inoltre, il problema, è che sebbene l’impatto dei dazi sulle aziende indiane possa essere limitato, l’intensità occupazionale dei settori di esportazione focalizzati sul mercato statunitense, inclusi tessile, abbigliamento, pelletteria, pietre preziose e gioielli, prodotti ingegneristici ed elettronica, è sproporzionatamente elevata, e questo è motivo di preoccupazione per i responsabili politici. Molti di questi settori – prosegue il giornale – sono dominati da piccole e medie imprese e la loro intensità di manodopera è in genere superiore a quella delle grandi imprese, mentre la loro capacità di far fronte a uno shock esterno di questo tipo è molto inferiore a quella delle grandi aziende». Un funzionario governativo ha confermato che attualmente non ci sono colloqui con gli Stati Uniti per cercare di arrivare a un accordo. Nemmeno sottotraccia. La visita dei rappresentanti americani, che era stata programmata per la seconda metà di agosto è stata rinviata sine die.
Festival delle ipocrisie
L’evento che ha fatto perdere la pazienza a Trump contro il governo indiano, per i suoi rapporti con Mosca è l’aumento esponenziale dell’import di greggio. Trump ha imposto i dazi supplementari nella prima settimana di agosto e subito dopo Modi ha chiamato Putin. Dopo il colloquio – scrive Indian Express – Modi ha dichiarato: «Ho avuto una conversazione molto proficua e approfondita con il mio amico, il Presidente Putin. Lo ringrazio per aver condiviso gli ultimi sviluppi sull’Ucraina. Abbiamo anche esaminato i progressi nel nostro programma bilaterale e ribadito il nostro impegno ad approfondire ulteriormente il Partenariato strategico speciale e privilegiato India-Russia. Non vedo l’ora di ospitare il Presidente Putin in India entro la fine dell’anno». Se questi sono i risultati della pressione concentrica, esercitata da Usa ed Europa sui ‘non allineati’ per aiutare Zelensky, allora non va. O funziona al contrario. Ecco la riflessione di due analisti indiani, i professori Manoj Sinha e Ramanand Sharma (Università di Delhi) su questo festival delle ipocrisie: «Nel frattempo, l’Europa rimprovera l’India per aver acquistato petrolio russo, accusandola di finanziare Putin. Ma l’ipocrisia è lampante. L’Europa si è rimpinzata di gas russo per decenni prima di scoprire una coscienza morale. È stata l’Europa, non l’India, a finanziare il tesoro di Putin. L’India ha semplicemente colto un’opportunità. Anche mentre le raffinerie rivendevano il carburante riesportato in Europa, Bruxelles faceva la predica. Quando l’India chiese alternative, non ricevette risposta. Nessun sussidio, nessuno sconto, solo prediche. La scelta dell’India era chiara: non poteva permettere che la sua economia venisse paralizzata per placare il senso di colpa drll’Europa».
‘Indegna sceneggiata’
E a completare il backstage di una indegna sceneggiata, dove c’è chi muore e chi, invece, si arricchisce o fa carriera, proponiamo (come logico sequel) un ultimo breve report della BBC: «Le aziende britanniche inseguono contratti da 38 miliardi di sterline in India». Il Paese della cuccagna, insomma, che proprio alla fine di luglio, mentre Trump stava per mettere i dazi addizionali a New Delhi (la ‘tassa-Putin’) per l’Ucraina, firmava un accordo commerciale a tanti zeri col Regno Unito. Lo sappiamo, ci vuole una gran faccia tosta. Ma vi proponiamo il commento fatto dal premier inglese che ha sottoscritto il patto, Sir Keir Starmer, il ‘volenteroso’ pronto alla guerra per l’Ucraina. Soprattutto quando a pagare, però, sono gli altri.
- «L’accordo – dice solenne Starmer – è il più grande e il più significativo, dal punto di vista economico, stipulato dalla Gran Bretagna dopo la Brexit. Questo accordo è ormai firmato, sigillato e consegnato. Il Regno Unito stava negoziando un’intesa come questa da molti anni, ma è questo governo che l’ha portata a termine e, con essa, stiamo inviando un messaggio molto forte. La Gran Bretagna è aperta agli affari, e questo sta già generando un’enorme fiducia».
With the best compliments Sir, ci permetta una sola domanda: se Trump le chiederà di applicare i dazi ‘secondari’ per salvare Kiev, che farà? Strapperà l’accordo?