Il susseguirsi di urti e scossoni a cui vengono sottoposte le manifatture di Germania, Francia e Italia stanno ridifinendo il modello produttivo del Vecchio Continente. Il punto di rottura della catena si trova in Germania. Cause note: dipendenza energetica dalla Russia e dipendenza commerciale dalla Cina, con l’industria di punta, quella automobilistica, a farne per prima le spese. Strade alternative? In Italia solo litigando con Landini
Battaglia contrattuale Volkswagen
Questa sedttimana quella che viene annunciata come ‘la battaglia contrattuale collettiva più dura che Volkswagen abbia mai conosciuto’. Il sindacato tedesco Ig Metall ha proclamato uno sciopero totale contro l’annunciato taglio di posti di lavoro. La decisione arriva con le elezioni alle porte a febbraio 2025. Non a caso i tentativi del governo tedesco di costringere il gruppo Volkswagen a mantenere i posti di lavoro sono andati a vuoto.
Germania precipita, Francia insegue
Se la crisi in cui è sprofondata la Volkswagen è la sintesi rappresentativa dell’ industria tedesca, in Francia è la politica economica che colpisce i campioni dell’industria francese. La mancanza di un minimo accordo sul risanamento dei disastrati conti pubblici minaccia di far avanzare “la marea inarrestabile di fallimenti delle imprese, piani sociali e ristrutturazioni”, titola Le Monde. Nei primi dieci mesi dell’anno si contano 55.000 imprese fallite (+ 20% dell’anno scorso) che hanno coinvolto direttamente 160.000 lavoratori.
Risorge Notre Dame, precipita l’industria
Lo scorso 25 novembre ArcelorMittal annuncia la chiusura dei suoi impianti a Reims e à Denain. Due giorni dopo Le Coq sportif viene messo in liquidazione. La sorte di 450 lavoratori dell’industria chimica Vencorex è in bilico e il 27 novembre, il marchio di forniture automobilistiche Valeo chiede il licenziamento di 868 lavoratori. Il bollettino di guerra prosegue con l’annuncio della chiusura di Michelin e un piano di ristrutturazine di Auchan che prevede il licenziamento di 4000 dipendenti. Massacro occupazionale di fine anno.
L’Italia solo fornitrice ancora fa finta
Visto dall’Italia il cedimento della catena non può che far tremare i polsi. Aver rappresentato per decenni un anello di quella catena è stato motivo di orgoglio nazionale bipartisan. Solo degli sprovveduti possono esibirsi in dichiarazioni di malcelata soddisfazione per la crisi tedesca mettendola a confronto con il modello italiano di maggiore flessibilità e di maggior diversificazione produttiva. L’Italia è l’ultimo anello della catena, ossia un fornitore e non un capo filiera. Ottimi e stimati fornitori dell’automotive tedesco e del lusso francese, ma pur sempre fornitori.
Stupida disattenzione a uso politico
Non è quindi un caso che le tre industrie manifatturiere dell’Unione Europea stiano tornando al centro della scena politica e della conflittualità . Dalla grande mobilitazione della Wolkswagen alle migliaia di francesi che stanno rispolverando dagli armadi i loro gilet gialli, fino agli scioperi italiani della scorsa settimana pronti a prendere il nome di ‘rivolta sociale’. Ma qui c’è chi preferisce litigare con Landini invece di preoccuparsi della malattia generale che avanza.
Silenzio per opportunismi di Borsa
C’è l’impressione che l’eco di queste notizie sia ancora contenuta nei confini nazionali per non aggravare la minaccia dei mercati finanziari sull’intero continente.
E’ presumibile, invece, che dietro le quinte del solito teatrino delle dichiarazioni politiche si stia insinuando la paura che il modello economico noto vada in direzione del capolinea. Un esempio per tutti : il paradosso delle imprese che, nel bel mezzo di migliaiai di licenziamenti e piani di ristrutturazione, denunciano la persistente difficoltà di reperimento di lavoratori.
03/12/2024
da Remocontro