Lotta per la giustizia fiscale. Spagna e Brasile alla Conferenza Onu di Siviglia: tasse a i super-ricchi. Una risposta a Trump che gela l’accordo “global minimum tax” esonerando le imprese Usa da ogni obbligo
I ricchi si sposano, vanno in vacanza, fanno selfie, ridono, divorziano, si ammalano, piangono e alla fine persino muoiono. Le testimonianze con cui ci tengono al corrente delle loro vite un po’ grottesche sembrano fatte per rassicurarci.
Che in fin dei conti non sono poi tanto diversi da noi. Con qualche eccezione, naturalmente: come il fatto che loro non pagano le tasse.
Nei paesi occidentali ad alto reddito, le aliquote massime di prelievo sui redditi più elevati sono letteralmente precipitate. Rispetto a livelli record superiori al 90% negli anni ’60, siamo oggi intorno a una media del 40%. Sui redditi da capitale la caduta è anche più accentuata: dal 40% negli anni ’60 a circa il 30% nei giorni nostri.
GIÀ IN PALESE caduta, queste aliquote ufficiali sono destinate poi a crollare ulteriormente grazie a una congerie di deduzioni e trasferimenti in grado di condurre i prelievi effettivi su Bezos, Arnault, Elkann e sugli altri mega-ricchi d’Occidente verso il massimo sogno erotico dei liberisti: le “tasse zero” sul capitale.
Quando Warren Buffett rivela che lui e i suoi simili pagano ormai meno tasse dei loro camerieri, a quanto pare non esagera.
La classe capitalista va dunque in paradiso. E non deve nemmeno più scomodarsi a cercare conti criptati alle Fiji o in qualche altra isola sperduta nell’oceano. Per il Tax Justice Network, i paesi che garantiscono massima segretezza finanziaria sono Svizzera, Stati Uniti, Lussemburgo, Germania. Il paradiso fiscale si può ormai fabbricare comodamente nel giardino di casa.
Questa colossale fuga dei ricchi dal fisco ha implicazioni enormi sulla tenuta dei moderni sistemi di protezione sociale. L’Ocse calcola che il continuo abbattimento dei prelievi sui redditi più alti impone un aumento più che proporzionale dei carichi fiscali sui redditi medio-bassi, in particolare sul lavoro dipendente. Mentre Bezos sborsa milioni per un dimenticabile matrimonio a Venezia, lavoratrici e lavoratori pagano per impedire il tracollo definitivo della sanità e della scuola pubblica. Infinito carnevale per i miliardari, infinita quaresima per le plebi.
UNA TALE FIERA delle iniquità non è frutto del caso. Siamo dinanzi all’esito di una tendenza ostinata, che trae origine da una svolta decisiva nel regime di accumulazione: è la liberalizzazione dei movimenti internazionali di capitali, che si è imposta con il tracollo sovietico e che tuttora resiste, pur nella crisi dell’ordine mondiale a guida americana.
I dati indicano che quanto più vengono eliminate le barriere agli spostamenti di ricchezza da un luogo all’altro del mondo, tanto più i proprietari del capitale si muovono alla ricerca di regimi fiscali vantaggiosi, tanto più i governi abbattono le aliquote per convincere i miliardari a prendere residenza nei confini nazionali. Se oggi i ricchi pagano tasse ridicole, è anche perché minacciano continuamente di spostare altrove i loro patrimoni. E possono.
SI PUÒ INVERTIRE questa tendenza alla completa distruzione dei sistemi di progressività fiscale? Un tentativo lo stanno facendo Spagna e Brasile nell’ambito della conferenza delle Nazioni unite di Siviglia: promuovere un dibattito internazionale per tassare i super-ricchi e ridurre le disuguaglianze nel mondo. È una risposta politica allo strappo compiuto dagli Stati Uniti di Trump, che pochi giorni fa sono riusciti a mettere in crisi l’accordo sulla “global minimum tax” esonerando le imprese americane da qualsiasi obbligo.
L’INIZIATIVA di Lula e Sanchez è tempestiva. Affinché però il dibattito che stanno promuovendo si tramuti in azione concreta, sarà bene mettere in chiaro un problema tipico di questo genere di proposte. Il problema è messo in evidenza proprio dall’ultima giocata di Trump: quanto più ci si approssima a un accordo internazionale che punti a limitare la libertà del capitale, c’è sempre qualche governo che all’ultimo momento si sfila per far saltare il banco.
AFFRONTARE questa difficoltà non è impossibile. Si tratta di seguire una regola in fondo semplice: i trattati di limitazione della libertà del capitale si firmano con chi è d’accordo. Chi si chiama fuori va invece sottoposto a dure restrizioni commerciali e finanziarie, anche se si tratta degli Stati Uniti d’America. È in fondo questa la logica del cosiddetto “standard” sociale, ambientale, fiscale e del lavoro, che trae origine da precedenti proposte dell’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro-Agenzia Onu) e che è stato più volte discusso anche in sede europea. La contro-tendenza si crea con la lotta. E la lotta non ammette l’unanimità.
02/07/2025
da Il Manifesto