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La crisi del dollaro nelle tasche del mondo

La crisi del dollaro nelle tasche del mondo

«Our dollar is your problem». Non è l’ultima dichiarazione di Trump, ma quella di John Conally, il Ministro del Tesoro del governo di Richard Nixon. Era il 1971, ma il sistema adottato aveva il medesimo intento di oggi: far pagare la crisi finanziaria degli Stati Uniti ai suoi partner commerciali. Anche all’epoca Nixon applicò il 10% di dazi a tutti e poi bloccò la convertibilità del dollaro con l’oro.

George Washington and Chairman Mao

‘Minotauro globale’

Da allora, gli Usa hanno continuato a sostenere le proprie finanze e la supremazia della loro moneta come un “Minotauro globale” che si alimenta dei propri figli, così come li definì l’ex ministro dell’economia greco Varoufakis.

Le grandi crisi finanziarie che si sono succedute dopo Bretton Woods hanno seguito sempre lo stesso schema. Quella del 1981, con l’inflazione al 13%, fu fatta pagare al Giappone che con il suo enorme export era una specie di Cina dell’epoca. Con la differenza che il Giappone era il grande sconfitto della Seconda Guerra mondiale e fu tutto sommato semplice fargliela pagare. I giapponesi furono costretti a rivalutare lo Yen, bloccando quindi l’export e condannando l’economia del Sol Levante a decenni di crescita zero.

Crisi e ‘protagonisti

Nel 2008 il dollaro va in crisi per un problema domestico causato dalla bolla dei mutui subprime e il problema viene spostato sull’Europa, con le banche del Vecchio Continente lasciate a secco per ricapitalizzarsi con operazioni di aggiustamento che comportarono l’acquisto di dollari, alimentandone l’apprezzamento.
Oggi la crisi del debito americano prevede ancora una volta di esportarla all’esterno, all’insegna del motto di Conally. Ma gli attori cambiano ed ecco che l’attuale Ministro del Tesoro è Scott Bessent, che prima di entrare in politica era il capo del fondo speculativo “Fund K Square Group” di proprietà di George Soros. Nel 2016 gli vennero affidati 5 miliardi di dollari da investire e lui, Bessent, in meno di 8 anni, mentre i mercati azionari andavano gonfie vele, ne ha persi il 90%, lasciando al fondo 500 milioni.

Besset + Trump = -243 miliardi

Malgrado queste credenziali, Bessent è riuscito a trovare Donald Trump che di miliardi di dollari da gestire gliene ha dati ben 36 mila, pari cioè al bilancio degli Stati Uniti. Vorrà pur dire qualcosa se a fine marzo, dopo settanta giorni di amministrazione finanziaria Trump, nella dichiarazione mensile dello stesso Tesoro compare un deficit di cassa di 243 miliardi di dollari superiore a quello di un anno fa. E i dati di aprile non mostrano inversioni di tendenza. I numeri dicono che il deficit del bilancio Usa aumenta invece di ridursi. In concomitanza alla pubblicazione di questi dati Trump ha dato inizio alla de-escalation.

La neutrale Svizzera tra Usa e Cina

E come in tutte le guerre vere e proprie, entra in campo la neutrale Svizzera dove, sul lago di Ginevra, americani e cinesi si incontreranno per, non risolvere, ma ridurre il livello dello scontro. Segnali incoraggianti, ma che tutti gli analisti prevedono insufficienti a ridurre l’impatto dei dazi. Se sarà recessione o ‘atterraggio morbido’ è ancora presto per dirlo, certo i dati sono stati sufficienti per la Fed che questa settimana ha mantenuto invariati i tassi. La banca centrale non vede margini di manovra per eliminare i rischi a cui va incontro l’economia americana. Un’evidenza non solo economica, ma anche politica per la tenuta del sistema di bilanciamento dei poteri della democrazia americana.

Sempre meno dollaro sul mondo

Il dato più rilevante che emerge da questa nuova crisi della finanza americana riguarda lo status del dollaro. «Questa volta per il dollaro è veramente diversa» scrive l’economista di Harward Kenneth Rogoff su The Economist. Ovvero, «anche se il biglietto verde rimarrà quasi certamente la valuta dominante al mondo per almeno un altro paio di decenni, probabilmente scenderà di diversi gradini – scrive Rogoff – Aspettatevi che lo yuan e l’euro prendano spazio al dollaro nell’economia legale. Le criptovalute faranno lo stesso nell’economia sommersa, che rappresenta circa un quinto del Pil globale».

Verso lafine dello scarica barile

Lo schema il ‘nostro dollaro è il vostro problema’ sta per rompersi. La Cina non è il Giappone di quarant’anni fa. «Mai inginocchiarsi», titola il quotidiano di Pechino Global Times in occasione dell’incontro previsto a Ginevra tra Scott Bessent e il vice premier He-Lifeng.  L’inerzia infernale della finanza pubblica americana alimentata da crescenti privilegi fiscali per i redditi più alti e da un sistema di consumi che ha generato un deficit fuori controllo, non può più autoregolarsi mediante l’uso della forza economica e geopolitica. Quell’ great again del movimento di Trump sta a significare l’illusione di un ritorno al vecchio schema di potenza finanziaria che batte moneta per tutti i suoi sudditi.

Da ‘sudditi’ a interlocutori alla pari

Le trattative che stanno per iniziare dopo circa due mesi di guerra commerciale ad alta intensità, forniranno ulteriori indicazioni sulla capacità residuale del dollaro a mantenere il ruolo di valuta mondiale.

11/05/2025

da Remocontro

Valerio Sale

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