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La crisi del settore industriale in tutti i territori

La crisi del settore industriale in tutti i territori

Lavoro

20/11/2025

da Il Manifesto

Michele Gambirasi

96 AZIENDE NON REGGONO IL MERCATO .L’ex Ilva non è che uno specchio della crisi industriale che attraversa la manifattura italiana, che solo in estate ha lievemente visto frenarsi un calo della produzione che andava avanti da 26 mesi (poi rapidamente ripreso ad agosto).

Dal punto di vista della produzione industriale, ad agosto stando ai dati Istat l’indice di produttività si è fermato a 91,6, prendendo come livello di riferimento il 2021 tarato su 100: significa che negli ultimi quattro anni c’è stato un calo dell’8,4%. Allargando lo spettro temporale, negli ultimi 25 anni i dati Eurostat certificano che la produzione in Italia è calata del 23%, il valore più alto nell’Unione europea. Secondo la Cgil si contano complessivamente 96 aziende in crisi, per un totale di lavoratori coinvolti pari a 121.489, il tutto in un «quadro parziale riferito alle sole vertenze nazionali», cui andrebbero sommati i tavoli di crisi regionali. Tra i settori più coinvolti ci sono l’automotive, quello dei macchinari e la metallurgia.

In quest’ultimo, accanto all’ex Ilva, l’ultima crisi che si è aperta in ordine di tempo riguarda le acciaierie Valbruna, nel territorio di Bolzano. Qui allo scadere della concessione delle aree pubbliche su cui sorge lo stabilimento, la provincia autonoma ha indetto una gara in cui la prosecuzione dell’attività siderurgica non è considerata prominente.

I sindacati hanno chiesto il ritiro del bando, dal momento che la chiusura del sito metterebbe a rischio 1.800 posti di lavoro, compreso il collegato stabilimento di Vicenza, oltre all’indotto, definendo le decisioni assunte dalla provincia come «irresponsabili e illogiche», dal momento che la chiusura potrebbe prevedere uno spostamento delle attività all’estero, negli Stati Uniti dove già esiste un altro stabilimento del gruppo. Il governo al momento non ha contestato il bando ma dichiarato la strategicità del sito.

Non meglio va in siti storici della siderurgia in Italia, tra cui Piombino e Portovesme, in Sardegna. Qui a inizio ottobre il ministro delle Imprese Urso ha annunciato il fallimento della ricerca di nuovi investitori che potessero rilanciare il sito di Glencore: solo dieci mesi fa, a dicembre 2024, Urso aveva promesso che «nessuna azienda arrivata al tavolo Mimit è stata chiusa: ogni crisi è stata trasformata in opportunità di rilancio». «Il ministro Urso dovrebbe innanzitutto imparare a dichiarare meno cose che poi è costretto a smentire anche solo la settimana successiva», dice Loris Scarpa, coordinatore siderurgia della Fiom Cgil commentando il quadro nazionale, «quando si ha a che fare con delle persone non si possono dire cose che poi non vengono mantenute. Questo passerà alla storia come il periodo in cui abbiamo messo tutto il lavoro industriale e manufatturiero in cassa integrazione».

Il sito di Piombino invece è in crisi da 15 anni, i dipendenti in cassa integrazione sono 1.600 da oltre un decennio. Lunedì 24 novembre si riunirà di nuovo il tavolo al Mimit per discutere della situazione e del piano industriale dell’azienda Jsw Steel che opera sul sito senza un accordo di programma. I sindacati dopo l’ultima riunione hanno denunciato una situazione «imbarazzante e deludente», denunciando il fatto che ancora non ci sia stato alcun passo avanti per la definizione di un piano industriale che garantisca la ripresa produttiva e la tutela occupazionale. Al contempo sull’area si sta preparano il progetto di rilancio del polo siderurgico da parte della joint-venture Metinvest-Damiani, con l’obiettivo di produrre acciaio da forni elettrici a partire dal 2029.

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