16/12/2025
da Il manifesto
Manovra L’Alleanza contro la povertà: un emendamento dimezza il sussidio al rinnovo dell'assegno di inclusione voluto dal governo Meloni: «400 mila famiglie rischiano di perdere 300 euro»
L’Alleanza contro la Povertà ha espresso una «ferma e decisa preoccupazione» su un emendamento alla legge di bilancio che dimezza «l’importo della prima mensilità» dopo il rinnovo dell’Assegno di Inclusione, il sussidio istituito dal governo Meloni per sostituire il cosiddetto «reddito di cittadinanza». Questa modifica è ritenuta «fortemente penalizzante» ed è l’ennesimo «accanimento» contro i poveri.
Nella manovra il governo farebbe così due operazioni. Da un lato, intende eliminare il mese di sospensione tra il primo ciclo di 18 mesi dell’«Assegno di Inclusione» e il suo rinnovo. Dall’altro lato, con l’ultimo emendamento, introduce all’improvviso il taglio del 50% dell’importo della prima mensilità di rinnovo. Dunque, opera un risparmio secco ai danni dei beneficiari del sussidio contro la povertà assoluta. Si calcola che, a partire dal 2026, circa 350-400 mila famiglie completeranno il primo ciclo di 18 mesi e presenteranno domanda di rinnovo: per questi nuclei, il dimezzamento della prima mensilità si tradurrebbe in una perdita media stimabile tra i 250 e i 300 euro, con picchi più alti per le famiglie numerose o con minori. Una riduzione tutt’altro che marginale, che rischia di compromettere il pagamento di spese essenziali come affitto, utenze, alimentari e sanitarie. In totale, il risparmio sarebbe di «circa 100 milioni di euro annui». Una cifra modesta se confrontata con la spesa complessiva della manovra (18,7 miliardi di euro).
«Ora non possiamo credere che si intenda davvero procedere con l’ennesimo taglio, colpendo proprio chi si trova in maggiore difficoltà – ha detto Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà – Chiediamo l’immediato ritiro dell’emendamento. Il contrasto alla povertà non può essere affidato a interventi opachi e regressivi, né può diventare un capitolo su cui fare cassa in silenzio».
Questa vicenda è un seguito della guerra contro i poveri condotta dal governo Meloni sin dal suo insediamento. La lotta ideologica contro il malconcepito «reddito di cittadinanza» non ha solo escluso almeno un terzo dei vecchi beneficiari, maa intensificato il ricorso alle tecniche del «workfare», già conosciute in Europa e negli Stati Uniti. Gli aiuti sociali sono sempre più legati a obblighi di attivazione o a meccanismi punitivi. Si tende inoltre a trasformare il sussidio in un percorso a ostacoli, accompagnato da minacce e da trappole burocratiche, che rendono sempre più impauriti e subalterni i beneficiari.
Un esempio lampante di questa tendenza si osserva in Francia con la riforma del «Revenu de Solidarité Active» (Rsa). Il sussidio, destinato a chi ha poche o nessuna risorsa, è al centro di un esperimento che, pur mirando a semplificare l’accesso e l’accompagnamento, prevede l’iscrizione automatica dei beneficiari a «France Travail» (il nuovo Pôle emploi) e l’obbligo di svolgere «dalle 15 alle 20 ore settimanali» di attività, che possono includere formazione, immersione in azienda o partecipazione ad attività di volontariato. Una norma, quest’ultima, presa esplicitamente dal vecchio «reddito di cittadinanza» e mantenuta, formalmente, nel nuovo impianto-Meloni.
Chi, in Francia, non rispetta il «Contrat d’Engagement Réciproque» rischia la sospensione o la revoca dell’indennità. Sebbene la riforma sia presentata come uno strumento di maggiore integrazione professionale, essa introduce, di fatto, un requisito di lavoro forzato non retribuito, spostando l’attenzione dal sostegno al bisogno alla coercizione all’attività. Il taglio da cui nasce lAssegno di Inclusione in Italia, così come l’inasprimento del «workfare» in Francia, sono manifestazioni diverse di un fenomeno: l’odio dei poveri

