È partita la raccolta delle firme per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata che aumenta le disuguaglianze non solo tra Nord e Sud ma anche tra aree urbane e interne. E il combinato disposto fra autonomia differenziata e premierato segna la morte della nostra democrazia costituzionale nata dall’antifascismo. Licio Gelli avrebbe avuto di che gioire vedendo realizzato in buona parte il suo noto Piano
Dal 20 luglio scorso è cominciata la lunga estate militante della raccolta firme per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata. Su Left abbiamo scritto molto su questo tema negli anni, e abbiamo anche pubblicato un libro. Ma non basta, dobbiamo moltiplicare gli sforzi. Entro settembre dobbiamo raccogliere 500mila firme (online e ai banchetti) a sostegno del referendum (obiettivo possibile visto il boom delle firme, ma la mobilitazione deve proseguire per informare e far partecipare le persone). E questo è solo il primo fra molti step, di cui il più arduo sarà convincere i cittadini ad andare a votare in massa per poter raggiungere il quorum necessario. Ricordiamo bene cosa avvenne nel 2005 con il referendum sulla legge 40/2004 sulla fecondazione assistita con interventi a gamba tesa del cardinal Ruini e di tutta la Cei che invitarono i cittadini a disertare le urne. Questa volta (e perché non sono in primo piano i diritti delle donne) persino la Cei, insieme all’Anci, e a Banca d’Italia ha espresso un parere pesantemente negativo sulla legge Calderoli, che spacca l’Italia e cancella i diritti universali sanciti dalla Costituzione. L’autonomia differenziata, togliendo il fondo di perequazione economica e sostanzialmente dicendo “chi ha di più ha più servizi, chi ha di meno si arrangi”, aumenta le disuguaglianze non solo tra Nord e Sud ma anche tra aree urbane e interne, e all’interno delle stesse Regioni e delle medesime aree urbane, tema della storia di copertina di questo numero di Left.
L’Italia non sarà più una e indivisibile (in barba all’art. 5 della Carta) e tanto meno solidale. La sanità, l’istruzione e l’assistenza agli anziani non autosufficienti, come denuncia su questo numero la segretaria Spi Cgil Tania Scacchetti, sono gli ambiti in cui la legge leghista (fatta propria da tutto il centrodestra) impatterà in maniera più devastante. Il principio alla base del provvedimento passato alla Camera e al Senato è la messa in competizione dei territori, cristallizzando e amplificando le disuguaglianze attuali. Già oggi il servizio sanitario pubblico è a macchia di leopardo, con tanti cittadini costretti ad emigrare dalla propria Regione per poter accedere a cure mediche adeguate. Ma tanti non possono spostarsi perché costa. Già oggi i cittadini italiani non hanno le stessa speranza di vita ovunque, poiché la qualità dei servizi cambia da Regione a Regione. Questo tradimento dei diritti costituzionali e di uguaglianza, che sono alla base della nostra Carta (vedi l’art. 3) diverrebbe sistematico, giustificato, legalizzato con l’autonomia differenziata. Per fermare questo scempio di certo non basta l’osservatorio nazionale proposto da Tajani di Forza Italia. E non basta l’individuazione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione. Come sappiamo già dalla vicenda annosa dei Lea (livelli essenziali di assistenza) non basta individuarli, vanno anche finanziati. Ma anche se lo fossero (cosa che, ripetiamo, non è all’orizzonte) rimarrebbe il vulnus di prestazioni solo minimali. Attenzione dunque alla pericolosa controproposta di un quesito abrogativo parziale che viene dalla Regione Campania guidata da De Luca, che si accontenterebbe dei Lep, come hanno evidenziato il costituzionalista Massimo Villone e l’economista Gianfranco Viesti, autore dell’ormai celeberrimo La secessione dei ricchi (Laterza). Nei fatti (Lep o non Lep) con l’autonomia differenziata il diritto all’accesso alle cure (vedi art.32 della Carta) viene sostituito da uno ius domiciliis; un diritto universale diventa una variabile del codice postale. Come si può ben capire, non stiamo parlando di questioni tecniche, ma eminentemente politiche, che toccano direttamente la vita dei cittadini. Dunque la posta in gioco è altissima e chiede l’impegno davvero di tutti.
Il primo passo proficuo, come accennavamo, è stato già compiuto: 34 sigle di partiti, sindacati, associazioni hanno depositato in Cassazione un unico quesito referendario per l’abrogazione della legge Calderoli, secco, diretto, del tipo: “Vuoi tu che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione?”. Questa è la domanda cruciale. Ripeto, altri quesiti parziali non sono accettabili. Su questa unica questione dobbiamo raccogliere almeno 500mila firme entro il 30 settembre. Poi la parola passa alla Corte costituzionale che deve vagliare l’ammissibilità del quesito perché la Costituzione non consente che qualsiasi legge possa essere sottoposta a referendum popolare. Un rischio di inammissibilità del quesito c’è, ma va corso. Al contempo vanno provate tutte le strade, compresa quella dei ricorsi di 5 Regioni alla Consulta. Intorno alla proposta di raccolta firme per il referendum si è registrata un’ampia convergenza nel centrosinistra. Oltre alla Cgil e al comitato contro ogni autonomia differenziata (che lavora su questo tema da sei anni) si sono mobilitati molti partiti, dal Pd al M5s, da Rifondazione a alleanza Verdi e Sinistra, da Potere al popolo a Italia Viva. Convergenza programmatica importante, ma certo non si può parlare di coalizione e nemmeno di campo largo. Il motivo è evidente. Se le cose andranno come si spera l’anno prossimo in primavera si potrà andare a votare per il referendum contro la legge Calderoli ma anche per quello contro il Jobs act per il quale la Cgil ha già raccolto 4 milioni di sottoscrizioni. Di quella pessima riforma, che ha aumentato la precarietà nel mondo del lavoro, fu padre proprio Renzi, a cui si deve anche l’altrettanto pessima riforma, detta La Buona scuola. Attenzione dunque a parlare affrettatamente di nuovo fronte popolare italiano per mandare a casa le destre, perché sotterraneamente e non, Italia Viva più volte è apparsa disposta a fare da stampella al governo Meloni sul premierato: “deforma” eversiva, come l’avrebbe definita l’avvocato Felice Besostri, perché impone una svolta autoritaria al nostro ordinamento, cancella pesi e contrappesi, riduce il presidente della Repubblica a un passacarte, costituzionalizza un premio di maggioranza tale che al confronto quello previsto dalla legge truffa era poca cosa e, soprattutto, svuota di senso il voto dei cittadini chiamandoli a un plebiscito ogni cinque anni e marginalizza il Parlamento. Tutto questo senza sapere con quale legge elettorale si voterà. Il combinato disposto fra autonomia differenziata e premierato segna la morte della nostra democrazia costituzionale nata dall’antifascismo. Licio Gelli avrebbe avuto di che gioire vedendo realizzato in buona parte il suo noto Piano.
02/08/2024
da Left
Nella foto: firme contro l’autonomia differenziata (dalla pagina fb Contro ogni Ad)