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La difficile scommessa Trump per il mondo

La difficile scommessa Trump per il mondo

Il giuramento del nuovo Presidente Usa l’indizio dell’America che verrà. E, quindi, anche del mondo che ci aspetta nei prossimi quattro anni. Non è stato importante tanto quello che ha detto Donald Trump, quanto piuttosto chi c’era ad ascoltarlo. E non parliamo dei pochissimi politici internazionali di una certa caratura presenti, ma ci riferiamo soprattutto ai cosiddetti “leader aziendali globali”.

Il valore in dollari dei presenti

Secondo il Wall Street Journal, sono intervenuti all’inaugurazione rappresentanti di imprese con un valore di mercato di oltre 12 trilioni di dollari. Tra questi il Journal ha segnalato la ‘crema’ del settore tecnologico: Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Tim Cook ed Elon Musk, oltre ad amici e alleati di Trump, come Bernard Arnault, John Paulson e Rupert Murdoch. Non a caso la colorazione ‘tecnocratica’ della nuova Amministrazione, sembra una delle caratteristiche da tenere d’occhio. «Questa non è stata una vittoria ordinaria. È un bivio sulla strada della civiltà umana», ha esagerato Musk commentando la svolta sull’efficientamento burocratico che si propone Trump. Per il resto, il discorso di Trump è stato la solita zuppa autocelebrativa, contrassegnata più da accenti e slogan comiziali che da effettive strategie politiche di lungo periodo.

Ancora un comizio elettorale

Più che un intervento rivolto a tutti gli americani, quello di Trump è sembrato un forte messaggio ribadito ai propri elettori. In questa pappardella di buone intenzioni e di attesi risultati, frutto di un Paese che l’ideologia “MAGA” starebbe risvegliando da quattro anni di torpore c’è stato poco spazio per la politica estera per fare un’America di nuovo grande. Appena accennata. Si è parlato di «finire le guerre e di non cominciarne altre, perché così conviene». Ma poi Trump si è morso la lingua, ingenerando sospetti e confusione, quando ha toccato il nuovo punto caldo di crisi con la Cina, che non è più lo Stretto di Taiwan, ma bensì il Canale di Panama. Il nuovo inquilino dello Studio ovale, ha fatto capire di non tollerare il trattamento riservato alle navi, mercantili e militari, americane. Il ‘biglietto’ del passaggio costa troppo e i transiti dipendono dalla logistica offerta da società cinesi. Insomma, Trump ne fa una questione di «sicurezza nazionale», un concetto che apre la strada a scenari imprevedibili.

Finita la festa, la resa dei conti

Più in generale, passando dalle parole ai fatti, finita la festa, da oggi negli Stati Uniti comincia la resa dei conti. Perché, di questo si tratta. I primi ordini esecutivi della nuova Amministrazione repubblicana stracceranno, in mille pezzi, molti degli impegni sottoscritti da Biden fino a poche ore fa. L’inversione di tendenza, in alcuni settori, sarà drastica. Per non dire traumatica. Stephen Miller, il vice capo del nuovo staff della Casa Bianca, ha spiegato, ad alcuni leader repubblicani, le prime scelte che saranno fatte dal Presidente appena insediato. Tra queste rientrano – come scrive il Wall Street Journal – «la dichiarazione di emergenza nazionale al confine tra Stati Uniti e Messico, l’annullamento delle direttive su Diversità, equità e inclusione e l’annullamento dei limiti posti dal Presidente Biden alle trivellazioni offshore e sui terreni federali». A tali misure, diciamo di ‘ampio respiro’, ne vanno aggiunte altre minori, come quella che resuscita temporaneamente l’utilizzo di Tik Tok negli Usa. Inoltre, è prevedibile uno sforzo immediato di Trump per riformare il governo federale, attraverso la modifica delle regole di assunzione e licenziamento dei dipendenti pubblici.

La ‘battaglia per il confine sud’

Certo, la prima vera azione dirompente, della nuova Amministrazione, sarà quella che potremmo definire «battaglia per il confine sud». La dichiarazione di «emergenza nazionale», per la massa imponente dei flussi migratori, consentirà di sbloccare ulteriori finanziamenti e risorse del Pentagono, da impiegare per avere più personale di sicurezza, soldati, barriere e altri strumenti lungo il Rio Grande. Inoltre, secondo fonti del ‘Team di transizione’, Trump dovrebbe risuscitare la vecchia strategia politica nota come «Remain in Mexico». In sostanza, si applicherà una normativa che richiede ai migranti che cercano asilo al confine meridionale Usa, di aspettare in territorio messicano l’esito delle loro richieste d’ingresso negli Stati Uniti.

Le ‘Città-santuario’

Ma, l’attenzione sull’emergenza migratoria, non si ferma solo al confine sud, e prende di mira anche le cosiddette «città-santuario». Si tratta di grandi centri urbani, a conduzione liberal, che hanno politiche di accoglienza molto generose verso immigrati e senzatetto. E dove gli ‘irregolari’ e gli emarginati riescono a sopravvivere, grazie a normative comunali più tolleranti (e più umane) rispetto a quelle federali. «In queste città – avverte sempre il Wall Street Journal – sono state pianificate retate anti-immigrazione. Le località prese di mira includono Chicago, Boston, Washington, DC, Miami, Los Angeles, Denver, New York e San Antonio».

A tutto gas e petrolio verso l’onnipotenza

Un altro settore ‘sensibile’ di cui si occuperà immediatamente Trump è quello dell’energia fossile: gas e petrolio (per non dire carbone) ritorneranno in auge, mentre saranno autorizzate le trivellazioni di nuovi pozzi. Per finire (non proprio in gloria), è previsto un revival delle auto con motore a benzina e diesel e una marcia indietro sull’Accordo di Parigi, riguardante il clima. Trump si è poi impegnato a «tenere sotto controllo i prezzi», rifilando l’ennesima stoccata a Biden, perché, ha detto, l’inflazione che l’America ha subito è stata frutto di politiche di spesa troppo espansive.

Una chiosa finale, che rende conto e ragione del clima, quasi messianico della cerimonia, va riservato al ringraziamento rivolto da Trump all’Onnipotente: «Mi hanno sparato, ma Dio mi ha salvato, perché io salvassi l’America». Non siamo ancora al ‘Got mit Uns’, ma poco ci manca.

 

21/01/2025

da Remocontro

Piero Orteca

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