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La fermezza e la dolcezza di riconoscere l’altro

La fermezza e la dolcezza di riconoscere l’altro

L'ultimo saluto. Addio a Ali Rashid. Una figura di riferimento per la sinistra italiana e per il popolo palestinese

Sto partendo per Rafah con te nel cuore

Ciao Ali, non sarò al tuo funerale, detesto i funerali, ma con te avrei voluto esserci, so che capirai la mia assenza. Siamo in partenza per cercare di entrare a Gaza, lo so ci fermeranno a Rafah, ma saremo lì ,60 persone tra Ong , Movimenti, giornalisti e parlamentari, il nostro messaggio sarà chiaro: stop genocidio, basta occupazione illegale , basta complicità con Israele e altro. Ero a Monteverde, quando è arrivata la notizia: Ali se ne è andato. Saresti stato contento di vedere quanta gente del quartiere fosse presente per parlare di Palestina e delle nostre responsabilità . Ali anche tu te ne sei andato, devo parlare di te, vorrei restare in silenzio ma non posso. È stato il massacro di Sabra e Chatila che ci ha fatto incontrare, era il settembre del 1982 vivevo a Milano ed ero a nella segreteria della Flm, avevo scritto come sindacato Vita Terra Libertà: siamo tutti palestinesi. Mi hai cercata e proposto di partecipare al Consiglio Nazionale Palestinese che si teneva ad Amman, non ho saputo dire di no, cosi come non ho detto no quando mi raccontavi di Abu Jehad e dell’impegno per la sollevazione nei territori occupati palestinesi ma anche della necessità di unire i palestinesi ,cittadini israeliani alla lotta comune. E cosi sia mo partiti in 65 per andare a Taybe nel triangolo, per costruire un asilo. Anni intensi quelli della prima Intifadah. (…) A Roma abitavamo accanto, poi ve ne siete andati ad Orvieto, e quando eri a Roma, eri ospite da me, ricordi come Aida la tua bambina ti sgridava perché temeva che ti portassi via? Quando tornerò in Palestina, andrò ancora a Lifta , il tuo villaggio di origine, che pur deserto dei suoi nativi, è ancora lì , difeso dalla finale distruzione, andrò con Naila, Jacob e tanti altri, ti penseremo ed in una delle case rimaste pianteremo un fico ed un ulivo. Lifta, una storia speciale come la tua. Che dire di te? Mancheranno la tua fermezza, dolcezza e capacità di riconoscere l’altro. Sei rimasto umano. Grazie. Un grande abbraccio ad Aida e a tutti e tutte quelli e quelle che ti sono stati Vicini.

Luisa Morgantini

La parola poetica, inno alla vita

Ho incontrato Alì Rashid circa alcuni mesi fa a Massa insieme a Tommaso Di Francesco. C’era la mostra fotografica “Qui resteremo” che documenta la devastazione del territorio palestinese e Kufia, matite italiane per la Palestina. Massa è una delle città toscane che più delle altre si è battuta e si batte per far conoscere l’attuale tragedia palestinese. Abbiamo presentato la riedizione di “La terra più amata”. Poesie che in mezzo alla morte sono un inno alla vita, poesie che non contengono odio, ma dolore struggente. Con Alì avevamo parlato a lungo della possibilità di presentare libri e fare iniziative culturali a Pisa come a Firenze. Pensavo a lui per presentare un altro libro appena uscito di poesie palestinesi,” Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”. Non riesco separare emotivamente ma anche razionalmente le poesie palestinesi da Alì. Dolce, affettivo e affettuoso. Si entrava in comunicazione con lui in modo diretto. Guardava negli occhi ma non per indagare o per aggredire. Al contrario per trovare un legame, un’intesa, un collegamento. Era come le poesie palestinesi. Niente odio, ma struggimento, dolore. Nessuna arroganza, nessuna distanza. C’è una poesia di Heba Abu Nada, uccisa nel 2023, che si trova in Il loro grido è la mia voce e che suona così: “Non c’è tempo per grandi funerali e addii adeguati, non c’è molto tempo: un razzo furioso sta arrivando, ci accontenteremo di un bacio veloce sulla fronte. Non c’è tempo per l’addio”. Sì, non c’è tempo per l’addio. Gaza continua a bruciare. Contro quella prosa del mondo che si nutre della colpevole indifferenza occidentale di fronte alla devastazione della Palestina, avrei voluto parlare con Alì della poesia che cerca la vita con la dignità di chi non si piega. Lo faremo con lui e per lui.

Alfonso Maurizio Iacono

Dignità e orgoglio, con te l’incontro con Arafat

Sono affranto. È morto mio fratello Ali. Un dolcissimo fratello rivoluzionario. Un fine, struggente poeta delle tragedie ma anche della dignità, dell’orgoglio, della ribellione del popolo palestinese , di cui è stato autorevole e amato dirigente. Ali soffriva tanto per il massacro del suo popolo da parte di un governo assassino ed era addolorato per il complice silenzio dei governi europei e per il cinismo del governo italiano. Ali, ne sono certo, è stato stroncato da una sofferenza fisica ed emotiva. Un fratello. Abbiamo vissuto cinquanta anni di vita e di politica , già dalla metà degli anni settanta in Democrazia Proletaria , quando ottenemmo dal Parlamento il riconoscimento di una sede istituzionale per la Palestina in Italia, primo paese europeo. Fu, poi, uno splendido parlamentare di Rifondazione. Ali mi ha insegnato la bellezza del popolo palestinese. , il significato di difendere gli ulivi dal fuoco dei coloni come identità, vissuta quotidianamente, di un popolo senza Stato, che non ha mai accettato di essere rinchiuso in un bantustan. Con Ali ho incontrato Arafat; intervenni al Consiglio Nazionale Palestinese dopo il mio arresto, in Israele. Abbiamo insieme incontrato studenti palestinesi in lotta nelle Università israeliane contro la discriminazione e l’apartheid. Ci siamo commossi nell’incontro con le splendide donne e mamme Palestinesi. Mi fermo . Troppi ricordi si agitano confusamente nella mia mente. Non dimenticheremo il suo sguardo triste, acuto, fiero. Ricordo il suo ultimo appello per la pace:” la ragione, l’umanità, la vita ci supplicano a dire no alla guerra! Non siamo condannati a farci a pezzi..” Ali ci manca tanto. Ma, ancor più e sempre più, oggi siamo tutte e tutti Palestinesi! Abbracci fraterni a Cristina e ad Aida.

Giovanni Russo Spena

La stagione del dialogo

Come si contano i morti oggi? Una israeliana uccisa ieri pomeriggio e il nostro grande premier ci annuncia che questo dimostra ancora una volta il valore della vita ai nostri occhi, a differenza dei palestinesi… Forse non lo hanno informato che a Gaza ieri abbiamo ucciso tante persone e questa mattina sicuramente abbiamo proseguito nella stessa direzione. Gli incontri di Venezia, ormai molti anni fa – non ricordo la data esatta. Nel “dialogo israelo-palestinese” organizzato dai nostri amici italiani, la voce della Palestina fu quella calda di Ali Rashid. A molti sembrava difficile conciliare i rispettivi punti di partenza. Oggi, mentre il sangue scorre a fiumi, sembrano impossibili perfino da immaginare. Invece allora, con semplicità, senza accordi preliminari, sapevamo discutere, ci riuscivamo: come per arrivare, chissà, a un’altra realtà. L’Olp era diversa da quella di oggi, anche Israele era un po’ diverso da oggi. Hamas? Non faceva parte del processo. O meglio, non era una parte conosciuta. Nel 1978 un amico, palestinese comunista con il quale mi incontravo spesso, tornando da una visita a Gaza mi diceva che l’esercito israeliano preferiva reprimere i comunisti e la gente dell’Olp, senza toccare i gruppi fondamentalisti, dai quali si sarebbe in seguito sviluppato Hamas. Ali era la possibilità di comunicare fra noi, non solo davanti al pubblico. Tanti incontri, anche dopo Venezia. Arrivavo a Napoli e dalla stazione mi portava in un bar a bere il caffè che mi sembrava il migliore del mondo. A Napoli fu necessario accettare anche le nostre divergenze in materia di pizza e mozzarella. Tutto questo può apparire molto banale, ma la possibilità di incontrarci come amici mi sembrava una parte fondamentale nelle nostre discussioni. Grazie alla sua generosità soggiornai con la mia compagna a Orvieto. La bellezza del luogo era più grande quando allora Ali e Cristina ci tenevano compagnia in un’ottima trattoria, senza impegni pubblici. Ali, sempre bello. Era la voce che spesso rappresentava la linea politica impegnata nella possibilità di un dialogo.

Zvi Schuldiner

 

Continueremo nel suo ricordo

Ho appreso con dolore che è morto improvvisamente Ali Rashid, palestinese naturalizzato italiano, militante da sempre per l’autodeterminazione del suo popolo e per il dialogo con chi nel mondo ebraico-israeliano si batte contro l’occupazione militare. È stato anche parlamentare di Rifondazione Comunista. Ci siamo trovati fianco a fianco innumerevoli volte nell’impegno per la convivenza pacifica fra i due popoli. Scattammo una bella foto di gruppo soltanto venerdì scorso a Milano al termine di un’affollata manifestazione comune al cinema Anteo di Milano in cui aveva tenuto un bellissimo discorso di amicizia e comprensione reciproca fra dissidenti che rifiutano il fanatismo di una guerra insensata. Proiezione di episodi di “No other land” e interventi alternati di ebrei e palestinesi. Fumava parecchio, aveva l’aria stanca ma era venuto apposta dall’Umbria. Ci mancherà ma continueremo nel suo ricordo.

Gad Lerner

La memoria della casa di pietra bianca

Tanti anni fa Ali mi raccontò della casa di pietra bianca della sua famiglia a Lifta. Ne avevamo riparlato anche poco tempo fa prendendo spunto dalle pagine dedicate al suo villaggio di origine in un libro che stavo leggendo. A lui mi legano tanti ricordi, troppi per raccontarli in questo momento in cui riesco solo a piangere. Con chi se non con lui, in questo ultimo anno e mezzo di buio pesto e di dolore e disperazione, insieme a un piccolo gruppo di persone sparse per l’Italia e per il mondo potevamo creare momenti di incontro in cui cercare di (ri)costruire un filo di dialogo tra diaspora palestinese ed ebraica? Con Ali non ho perso solo un amico, un compagno di strada e di lotta, un riferimento, un punto fermo nella mia vita, un fratello maggiore di infinita dolcezza al quale chiedere consiglio quando mi mancava la terra sotto i piedi. Mi è venuta a mancare l’ancora alla quale potevo aggrapparmi per poter continuare a credere che un futuro diverso di giustizia e parità di diritti sia ancora possibile. La prima cosa che ho pensato quando ho avuto la notizia, è che con Ali se n’è andato un altro po’ di speranza. Ma come lui stesso ha detto concludendo un bellissimo intervento in cui raccontava la sua storia, “la speranza è un dovere morale”. Ora più che mai. Anche se mai è stato così difficile.Caro amico, che la tua anima possa riposare e ritrovare le pietre bianche e gli alberi d’ulivo della cui mancanza ha sofferto per tutta la vita.

Sveva Haertter

Quell’ulivo che brucia

Il mio amico Ali, mio fratello Ali, non è più fra noi. Il suo cuore malandato si è fermato, non ce l’ha fatta a reggere oltre il dolore di una terra, la Palestina, per la quale aveva speso una vita. Qualche giorno fa Ali mi aveva inviato le immagini di un ulivo millenario che bruciava da ore alimentato dal vento, anch’esso vittima designata della tragedia che si andava consumando nella Mezzaluna fertile per togliere di mezzo, con il genocidio della sua gente, anche le tracce della sua storia. Quell’immagine rappresentava, non so quanto inconsapevolmente, il suo ultimo atroce messaggio, un editoriale senza parole perché tutte quelle possibili erano già state consumate. Il mio dolore è grande, caro Ali, alleviato solo dall’immaginare che il tuo corpo stanco ha finalmente trovato pace.

Michele Nardelli

 

16/05/2025

da Il Manifesto

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