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La follia del 5% di armi Nato sull’Europa esplode per prima in Slovenia

La follia del 5% di armi Nato sull’Europa esplode per prima in Slovenia

Lubiana: 5% del Pil per la difesa e permanenza nella Nato, il governo sloveno traballa a colpi di referendum. L’ala sinistra della maggioranza lancia la consultazione sul riarmo, il primo ministro Robert Golob risponde con un’altra sull’Alleanza atlantica. Quel 5% per difendere l’Europa o per affondarla?

Quel 5% per difendere l’Europa o per affondarla?

Il governo di centro-sinistra in Slovenia nuota da tempo in acque agitate con i partiti della maggioranza mai davvero uniti e la destra dell’ex premier Janša attivissima nell’approfittare di ogni sbandamento, las premessa fondamentale di Marinella Salvi. Ma adesso sembra proprio crisi: «l’accordo tra la Nato e i Paesi Ue che hanno acconsentito ad un sostanzioso aumento delle spese militari rischia di far saltare il banco. Si va al referendum, consuntivo ma politicamente devastante, sull’adesione formale data dal governo di Lubiana», denuncia il manifesto.

Quel 5% esagerato e di troppo

Il premier Robert Golob era tornato da l’Aia rassicurando tutti che gli impegni sulla spesa militare non vincolavano in alcun modo Lubiana oltre quanto già preventivato e che l’orizzonte 2035 era troppo lontano per (pre)occuparsene (come a dire, dopo Trump e il suo maggiordomo Rutte, il 5% di armi se lo sognano), ma questo non è bastato ad acquietare l’opposizione dell’ala sinistra del suo governo che ha chiesto si verificasse il parere dei cittadini. A poco sono valse le parole rassicuranti di tutti gli appartenenti a Svoboda (Libertà), il partito maggioritario di Golob, a dire che eventuali aumenti delle spese militari non avrebbero mai colpito i welfare, la sanità o l’istruzione né la constatazione che il referendum metteva in crisi gli interessi nazionali in materia di sicurezza e difesa.

Levica, la sinistra, sulle barricate

Levica (Sinistra) era subito salita sulle barricate contro il vertice a l’Aia e aveva definito «promesse miserevoli» quelle espresse dai Paesi Ue: «Il 5% non è un rafforzamento dell’indipendenza europea e della politica estera», aveva dichiarato, «Sono state soddisfatte le esigenze degli Usa, che nel frattempo hanno iniziato un’altra guerra in Medio Oriente. Ma i leader europei non hanno mostrato alcuna indipendenza né a Gaza, né a Israele, né all’Iran, né a niente». Da qui alla richiesta di referendum per verificare l’adesione dei cittadini alla scelta governativa il passo era stato breve. Un boccone succulento per la destra che ha subito agguantato l’occasione per far esplodere le contraddizioni interne al governo aderendo all’iniziativa di Levica.

La greve figura di Netanyahu sugli Usa

Il promotore del referendum Matej Vatovec al momento del voto parlamentare: «Ogni centesimo per l’industria militare della Nato si esprime in un modo o nell’altro nei civili morti di Gaza in attesa di aiuti umanitari». Ma serviva il voto della destra e infatti, con 46 voti a favore e 42 contrari, il Parlamento di Lubiana ha approvato il referendum. Salta agli occhi che questo voto, mettendo all’angolo Svoboda (il partito del premier) con il primo ministro, ha di fatto certificato la fine dell’intesa politica della maggioranza. «La reazione di Golob? Rilanciare -rilancia a sua volta Marinella Salvi-. E con una scelta tutto sommato consequenziale, ha previsto l’indizione di un referendum sulla permanenza della Slovenia nella Nato».

Referendum in autunno, salvo il 5% non esploda prima e altrove

Il referendum sulle spese militari si terrà probabilmente in autunno e, tecnicamente, non ha valore vincolante. Sarebbe dunque ipotizzabile che un attento lavoro diplomatico possa ricucire lo strappo nella maggioranza così da arrivare almeno a fine legislatura, ma sembra più probabile che quando la prossima settimana Svoboda depositerà il quesito referendario per la permanenza nella Nato, si profileranno nitide all’orizzonte le elezioni anticipate. Assaggio di una crisi interna europea finora nascosta con furberia ma l’inganno non è destinato a reggere a lungo.

La mozione anti Ursula al parlamento europeo

Giovedì a Strasburgo il voto sulla mozione di sfiducia dell’estrema destra su Ursola Von Der Leyen. La premier non la sosterrà, il Pd dirà no turandosi il naso. Il cuore della mozione è sulla gestione dei vaccini Covid da parte della prima commissione von der Leyen ma anche sugli strumenti –le furberie-, adottati per bypassare il Parlamento sul piano di riarmo. Sofferenze italiane come prodromo di cosa gradualmente potrebbe accadere più avanti su quel fasullo 5%.  Giorgia Meloni e Elly Schlein, per ragioni assai diverse, saranno costrette a salvare Ursula von der Leyen dalla mozione di sfiducia. Per Meloni (che non fa parte ufficiale della maggioranza Ursula) non sarà una passeggiata dire no alla mozione di un collega del suo stesso gruppo europeo. Anche perché la Lega voterà a favore della sfiducia insieme agli altri «patrioti».

Pd, voto col naso turato, per ora

  • E per la leader pd un voto col naso turato, viste le ripetute critiche rivolte negli ultimi mesi ad una commissione che non ha mai sentito sua, fin dall’inizio. I malumori contro von der Leyen sono palpabili. «Senza un chiarimento politico non si può andare avanti», spiega l’ex capo delegazione Brando Benifei. «Non votiamo la sfiducia con l’estrema destra ma von der Leyen deve capire che non siamo più a un anno fa: anche Pedro Sanchez, che era garante di un patto, ha aperto una nuova fase con le posizioni contro il 5% del pil per gli armamenti, linea che noi condividiamo. Ora i nostri voti non sono più scontati, ci aspettiamo segnali chiari sul bilancio comunitario e sull’agenda sociale, ambientale e digitale».

07/07/2025

da Remocontro

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