07/09/2025
da Il Manifesto
Eliana Riva Storica, esperta di Paesi Islamici, documentarista
Palestina. Gli avvisi in arabo dell’esercito per spingere un milione di gazawi nell’ultima trappola. Mentre a Gaza salta in aria un altro grattacielo
I video che il portavoce militare israeliano in lingua araba, Avichay Adraee, pubblica sui social, sembrano quelli di un’agenzia di viaggi. «Abitante di Gaza, cogli l’opportunità di trasferirti presto nella zona umanitaria – diceva ieri su X – e unisciti alle migliaia di persone che si sono già trasferite lì negli ultimi giorni».
I piani presentati dal capo di stato maggiore evidenziano che i tempi previsti per l’occupazione e la distruzione di Gaza City dipendono dalla durata dell’evacuazione della popolazione. È stato questo, fin dall’inizio, il piano del governo israeliano. Se ne parlò per la prima volta verso la fine di ottobre 2023, quando la rivista israeliana +972 rese pubblico un documento con cui il ministero dell’intelligence raccomandava la deportazione permanente dell’intera popolazione di Gaza nel Sinai. Il piano prevedeva l’istituzione di una gigantesca tendopoli per assorbire gli sfollati, da consegnare poi alle cure economiche della comunità internazionale. Il presidente egiziano reagì allora duramente, rigettando l’ipotesi e suggerendo a Israele di usare il deserto del Negev. Dopo due anni da quello scambio poco amichevole sulla pelle dei palestinesi, lo scontro si ripresenta quasi uguale.
Venerdì, in un’intervista, Netanyahu ha dichiarato che secondo le sue stime circa la metà della popolazione di Gaza sarebbe disposta ad andar via. E che se fosse per lui, aprirebbe immediatamente il valico di Rafah, ma che l’Egitto lo chiuderebbe dal suo lato. Il Cairo ha risposto che non accetterà di diventare strumento per la pulizia etnica e il genocidio. La posizione egiziana, a parte una parentesi illuminata sotto il presidente Nasser, si è sempre tradotta in una discriminazione di fatto dei palestinesi che vivono all’interno dei confini. Accettare la deportazione della popolazione nel Sinai significherebbe in effetti prestare un supporto fondamentale al piano israeliano, ma soprattutto rappresenterebbe un enorme problema politico e un fattore di destabilizzazione per il Cairo. Il presidente Abdel Fattah el-Sisi non intende cedere parte della sovranità alle agenzie internazionali che dovrebbero occuparsi dei profughi. E sa bene, inoltre, che nulla impedirebbe alla resistenza di riorganizzarsi sul proprio territorio, trasformandolo in un obiettivo militare di Israele.
QUESTO BOTTA e risposta per i palestinesi significa solo una cosa: Tel Aviv dovrà «accontentarsi» (almeno per ora) di portare avanti i suoi piani deportandoli all’interno dei confini della Striscia. Così, ieri, l’esercito ha annunciato l’istituzione di un’altra tendopoli a sud di Gaza. L’ha descritta come una nuova «area umanitaria», in cui porterà tende, cibo e medicine. Secondo la dichiarazione si tratterebbe di una zona di 42,8 chilometri quadrati, corrispondenti all’11,5 per cento della Striscia. Già conterrebbe «ospedali da campo, condutture d’acqua e impianti di desalinizzazione». La gestione umanitaria dovrebbe avvenire in collaborazione con l’Onu e le organizzazioni internazionali. Tel Aviv ha promesso l’arrivo di 5mila tende per i rifugiati. Anche se la popolazione di Gaza City che intende sfollare è di più di un milione di persone.
SEMPRE L’ESERCITO ha dichiarato che questa «nuova» zona sarebbe in realtà la «vecchia» area umanitaria di al-Mawasi, a Khan Younis. In questi mesi è lì che ha spinto gran parte della popolazione, trasformandola in uno spazio enormemente affollato, senza servizi né strutture, dove regnano fame e malattie. Solo pochi giorni fa l’EuroMed human rights monitor ha denunciato l’escalation degli attacchi israeliani a Mawasi, che prendono di mira le famiglie di sfollati trasformando la cosiddetta «zona umanitaria in una trappola mortale».
Chi fugge da Gaza City in questi giorni, lo fa per lo più a piedi: anche i carretti sono diventati un bene di lusso. Molti vengono feriti lungo il tragitto o perdono il poco che erano riusciti a salvare. L’esercito stima che il 20 per cento della popolazione attuale della città si rifiuterà di evacuare. Tra di loro c’è chi non può farlo perché anziano o ammalato. Si tratta di circa 200mila palestinesi che rimarranno in una zona di combattimento con il rischio reale di essere ammazzati dai militari.
IERI IN CITTÀ gli aerei hanno abbattuto un altro palazzo, la torre al-Sousi, una struttura residenziale a quindici piani che si trovava di fronte alla sede delle Nazioni unite. Secondo l’esercito, era utilizzata da Hamas. Il gruppo palestinese ha negato l’affermazione. Il palazzo ospitava centinaia di sfollati, famiglie che sono tornate sulle macerie appena il fumo si è posato, alla ricerca di qualche oggetto da poter recuperare. Almeno sessanta palestinesi sono stati uccisi a Gaza nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della salute, inclusi 23 che cercavano di raggiungere gli aiuti. Altri sei sono morti di fame. Save the children ha fatto sapere che a Gaza, in 23 mesi di guerra, Israele ha ammazzato un bambino ogni ora, oltre 20mila, tra cui mille neonati.
LE FAMIGLIE degli ostaggi israeliani hanno manifestato ieri chiedendo di fermare le operazioni militari per negoziare il rilascio. L’occupazione di Gaza «è una sentenza di morte per gli ostaggi», hanno dichiarato. L’esercito ha ammesso di non conoscere la posizione dei prigionieri e che le operazioni potrebbero causarne la morte. Il presidente Usa, Donald Trump, ha dichiarato alla stampa che, secondo le sue informazioni, alcuni degli ostaggi considerati sopravvissuti potrebbero essere stati uccisi in questi giorni. Ha poi affermato che gli Stati uniti sono impegnati in intensi negoziati con Hamas, ma che spetta solo Israele decidere come continuare l’occupazione e la distruzione di Gaza.