Washington politica frena i finanziamenti all’Ucraina e per la prima volta litiga sulle colpe della gestione militare: ‘mancato successo militare’, ad esorcizzare la parola sconfitta. I repubblicani in campagna elettorale stoppano Biden, e Zelensky, che non ha più i miliardi per pagare soldati e famiglie sceglie di non parlare al Congresso Usa, mentre e i suoi ammettono: «rischiamo di perdere la guerra».
La controffensiva catastrofe. La guerra americana svelata con dettagli. Le colpe non di Kiev ma di Washington
La guerra americana svelata con dettagli
Il fallimento della tanto reclamizzata controffensiva ucraina, peggio di quanto finora raccontato, svela il Washington Post. Che analizza le cause, partendo da quelle di casa Usa. Prima, ‘la supponenza militare americana’, alla quale si devono imputare formidabili errori di programmazione, sia per l’addestramento, che per i veri e propri piani operativi. «È stato il Pentagono a organizzare tutto a tavolino», scrive il WP e non la Pravda. Ha curato, in Germania e in altri Paesi alleati, la preparazione delle reclute ucraine destinate a essere impiegate nel conflitto e, contemporaneamente, ha ‘consigliato’ lo Stato maggiore di Kiev sulle mosse da fare. Poi, qualcosa non ha funzionato e sono cominciate le divergenze e i guai.
Gli americani volevano un unico, massiccio attacco concentrato a Sud a spezzare la continuità del fronte di occupazione. Avrebbe causato una enormità di morti ucraini, ma politicamente serviva una vittoria da sbandierare, sia a Washington che a Kiev.
L’addestramento con lo sconto
Il Washington Post scrive che l’operazione di guerra per procura contro la Russia, è stata condotta senza tenere conto delle specificità del campo di battaglia e, probabilmente, sottovalutando l’avversario. Il primo elemento messo in evidenza, è sulla qualità dell’addestramento. Prendendo come modello una ‘brigata-tipo’ secondo gli standard Nato, la 47a Meccanizzata ucraina, impiegata come punta di lancia nella controffensiva, il report dimostra come la sua preparazione fosse approssimativa. E cita il giro d’ispezione, fatto dal capo di Stato maggiore Usa, Mark Milley, nella base che accoglieva le reclute ucraine, in Germania.
Nelle caserme tedesche i primi dubbi
Il generale, mentre istruiva i giovani ufficiali sulla strategia delle ‘armi combinate’ (fanteria, carri armati, artiglieria) che si devono integrare durante un attacco, si è reso conto che i soldati ucraini, per il 70%, non avevano nessuna esperienza di combattimento. E avrebbero dovuto essere lanciati nella mischia, utilizzando armi sofisticate, per affrontare un nemico che li aspettava trincerato. Là, scrive il WP, i primi forti dubbi sulla riuscita della controffensiva. Dubbi che si confermarono quando la 47a, finalmente, andò all’assalto per spaccare in due la zona occupata dai russi, tagliando le linee di rifornimento verso la Crimea.
Campo di battaglia, un’unica distesa di mine
Partiti trionfalmente per conquistare una prima fascia del fronte in due giorni, gli ucraini si bloccarono quasi subito. Il terreno era un unico campo minato. Migliaia, forse addirittura centinaia di migliaia di mine anticarro e antiuomo. Un inferno. I blindati Bradley e i tanto decantati carri Leopard restavano praticamente bloccati. Mentre i russi facevano il tiro al bersaglio, con missili anti-tank e droni kamikaze. Dopo quattro giorni di massacro, il comandante in capo dell’esercito ucraino, Valery Zaluzhny, ha detto ‘basta’. Rompendo con le sollecitazioni del Pentagono e del suo presidente.
«Prima che le limitate forze armate dell’Ucraina, uomini e mezzi, venissero annientate».
Le colpe non di Kiev ma di Washington
«Le vere responsabilità del fallimento della controffensiva non sono a Kiev, ma a Washington», il passaggio fondamentale del report WP. «Piuttosto che tentare di violare le difese russe con un attacco meccanizzato in massa e con il fuoco d’artiglieria di supporto – scrive ancora il WP – come avevano consigliato i suoi omologhi americani, Zaluzhny decise che i soldati ucraini sarebbero andati a piedi, a piccoli gruppi di 10 elementi – una tattica che avrebbe salvato molte vite, ma sarebbe stata molto più lenta».
Pianificazione Usa accantonata
Mesi di pianificazione con gli Stati Uniti furono messi da parte quel giorno, e la controffensiva già ritardata, progettata per raggiungere il Mar d’Azov entro due o tre mesi, si è di fatto fermata. Invece di fare uno sfondamento di 9 miglia il primo giorno, gli ucraini negli ultimi sei mesi sono avanzati di circa 12 miglia e hanno liberato una manciata di villaggi. Insomma, un clamoroso fallimento che, a leggere queste rivelazioni, invita a nuove riflessioni.
Le guerre per procura sulle vite altrui
Riflessioni poco simpatiche, per l’America e per l’Occidente in generale, elaborate dall’americanissimo Washington Post.
- «Il ‘mettere fretta’ agli ucraini, e spingerli a sanguinosi attacchi frontali, in quale logica della Casa Bianca, del Pentagono e della Nato si iscrive?».
- «Perché Kiev deve esibire, a tutti i costi risultati sul campo, mentre viene coscientemente costretta a combattere senza copertura aerea?».
- Certo, è anche un problema di finanziamenti, di costi e di export di armi, non solo per ‘business’, ma soprattutto per condizionare gli equilibri della geopolitica.
Questa guerra deve rimanere aperta, perché fa comodo a qualcuno? Anche se gli ucraini sono costretti a lottare e a morire in condizioni di palese inferiorità? E quando c’è chi si ribella, come il generale Zaluzhny, il sospetto di un vicino pensionamento. O forse no. Ma questo è il prossimo pezzo.
07/12/2023
da Remocontro