31/10/2025
da Remocontro
Netanyahu, commissariato da Trump a Gaza, cerca di riprendersi Israele. I gravi incidenti a Gaza di questi giorni non sono riusciti a far deragliare il cessate il fuoco. Per le pressioni Usa a salvare la ‘loro pace’, ma soprattutto perché Israele è stanco, dopo tanti anni di guerra, e l’opinione pubblica è contraria ad una ripresa dei combattimenti.

L’analisi dell’HuffPost
Gli oltre 1200 morti israeliani nell’attacco di Hamas e gli oltre 67.000 palestinesi uccisi. Ma la ferita profonda e meno nota ce la fornisce Janiki Cingoli. «La maggior parte delle famiglie israeliane ha avuto parenti al fronte, ci sono stati quasi 1200 caduti nella guerra, 6500 familiari hanno dovuto registrare lutti. 279 soldati hanno cercato di suicidarsi dall’inizio del 2024, secondo un rapporto della Knesset, arrivando al 78% dei casi di suicidio del paese». Secondo un altro rapporto, il saldo migratorio di Israele è negativo dal 2020, con quasi 150.000 cittadini che hanno lasciato più di quanti siano entrati, con un forte incremento dopo il 7 ottobre.
Israele oltre Netanyahu
Il paese, sta cercando di ritornare ad una vita normale, anche nei centri vicini ai confini con la Striscia. Anche i mercati hanno reagito positivamente, con la Borsa di Tel Aviv che ha toccato i suoi picchi più alti, e la moneta israeliana, lo shekel, che si è apprezzata nei confronti di euro e dollaro, pur se ogni incidente, come quelli recenti a Rafah, fa registrare flessioni. Il cessate il fuoco, salvo blitz aerei con centinaia di vittime, va comunque avanti. Netanyahu sotto stretto controllo dal Vice Presidente J.D. Vance al Segretario di Stato Marco Rubio, per evitare che qualche sua impennata faccia deragliare l’accordo, mentre sull’altro versante, i mediatori egiziani, qatarioti e turchi, fanno su Hamas.
Comando militare Usa a Kiryat Gat
Gli Usa hanno insediato il loro centro di comando operativo a ‘Kiryat Gat’, con 200 uomini che fanno capo al ‘CentCom’, che si occupa del Medio Oriente, cui si stanno aggiungendo ufficiali italiani, tedeschi e di altri paesi. Secondo quanto previsto dal piano Trump, la struttura, che si occuperà della pianificazione e della ricostruzione a Gaza nei prossimi mesi, e dell’afflusso degli aiuti umanitari, collaborerà con una forza internazionale (ISF), da dispiegare immediatamente a Gaza, con la partecipazione degli Usa, paesi arabi e altri partner internazionali, occupandosi nel lungo termine della sicurezza interna alla Striscia e della sua riabilitazione, in collaborazione con forze di polizia palestinesi selezionate, e consultandosi con Giordania e Egitto, che hanno esperienza in questo campo.
‘Board of Peace’ al comando?
Durante l’incontro con Vance, Netanyahu ha ripetuto che Israele non è un protettorato o uno ‘Stato cliente Usa’, e che conserva la sua piena autonomia decisionale, con rassicurazioni perlomeno formali dallo stesso Vance. «Ma, di fatto, è proprio di questo che si tratta», insiste Cingoli. E le accuse interne sono ancora più pesanti. «Gli Stati Uniti hanno reso Israele una repubblica delle banane», picchiada destra su Ynet il giornalista Ben-Dror Yemini. Accusa politica «mancanza di visione strategica e per le sue convenienze politiche ha perso ogni margine di autonomia: dei cinque punti posti dal Premier israeliano – il disarmo di Hamas, il ritorno di tutti gli ostaggi, vivi o morti, la demilitarizzazione di Gaza, la continuazione del controllo israeliano su Gaza, una amministrazione civile su Gaza che non includa né Hamas né la Autorità palestinese -, nessuno è stato raggiunto e molti sono contraddetti dagli accordi, come il controllo di sicurezza israeliano su Gaza o l’esclusione dell’Autorità Palestinese dall’amministrazione della Striscia».
E il fanfarone Trump rincara
Poi Trump, ‘con le sue estemporanee ma calcolate esternazioni’. In un’intervista al Time del 23 ottobre, ha affermato di aver costretto il primo ministro israeliano a interrompere la guerra contro Hamas a Gaza, che altrimenti avrebbe continuato per anni, e che il suo tentativo di colpire i leader di Hamas in Qatar è stato un terribile errore, che tuttavia ha creato lo slancio necessario per l’accordo. Dopo aver predetto che Israele e Arabia Saudita normalizzeranno i rapporti entro fine anno, ha aggiunto di non considerare Mahmoud Abbas come una figura adatta a presiedere l’organo di governo Palestinese a Gaza. E ha affermato di star affrontando la questione del leader palestinese attualmente in carcere, Marwan Barghouti, e che avrebbe deciso se volere o no che Israele liberi il terrorista condannato, e che avrebbe preso presto una decisione in merito.
L’opposizione interna a destra della destra
Il premier israeliano si trova quindi a fronteggiare una agguerrita opposizione all’interno della sua stessa coalizione, in cui i due partiti dell’ultradestra, capeggiati dai ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, in intesa con Avigdor Lieberman, leader del partito di opposizione di destra laica Yisrael Beitenu, e con Yuli Edelstein del Likud, già gli hanno teso un’imboscata alla Knesset, proprio nei giorni della visita di Vance in Israele, facendo approvare in prima lettura un disegno di legge a favore dell’annessione della Cisgiordania, «che ha quasi fatto prendere un coccolone a Netanyahu, che ha definito l’iniziativa una provocazione politica deliberata da parte dell’opposizione per seminare discordia, ed ha subito rimosso Edelstein dal Comitato Esteri e Difesa della Knesset».
Cisgiordania, altra lettura dei fatti
- «In Cisgiordania, nessuno ha sentito parlare del cessate il fuoco a Gaza: né l’esercito, né i coloni, né l’Amministrazione Civile e, naturalmente, nemmeno i 3 milioni di palestinesi che vivono sotto la loro tirannia. Non percepiscono minimamente la fine della guerra». Questo l’incipit di un articolo di Gideon Levy su Haaretz. «Da Jenin a Hebron, non si intravede alcun cessate il fuoco. Da due anni in Cisgiordania regna il terrore, con la copertura della guerra nella Striscia, che funge da pretesto discutibile e da cortina fumogena, e non c’è segno che stia per finire».


