Orrore ed «errore». Visto che potrebbe riconoscere lo Stato di Palestina, ma non lo fa; visto che potrebbe chiedere la sospensione dall’Accordo di associazione di Israele con l’Ue, ma invece si oppone; ci rende di fatto complice del massacro in corso a Gaza
La destra europea e italiana ha sempre sventolato la bandiera dell’unicità fondativa delle radici giudaico-cristiane dell’Europa. In Medio Oriente, culla delle tre religioni monoteiste, che una qualche responsabilità ce l’hanno nel disastro in corso, la rivendicazione è sempre apparsa non solo a dir poco parziale e riduttiva ma assai equivoca. Così ecco che esplode un cortocircuito politico di senso, quantomeno ideologico, che finora sul destino martoriato di Gaza e dei palestinesi non era ancora avvenuto.
Se accade che i cannoni di un’artiglieria ipertecnologica dello Stato ebraico – così si chiama ed è stato sancito dalla Knesset e dal governo di Tel Aviv come principio costituzionale nella Legge fondamentale del 2018 – spari a Gaza contro la chiesa cattolica della Sacra famiglia, uccidendo tre persone di cui due donne, ferendone 10 e, per fortuna, lievemente il parroco Gabriel Romanelli, l’interlocutore privilegiato di papa Francesco; una chiesa che è rifugio di centinaia di palestinesi. Un cortocircuito che spinge in prima battuta Giorgia Meloni – la premier di un’Italia che “ospita” lo Stato del Vaticano – ad uscire dal cono d’ombra del silenzio complice, che la mostra piccola piccola ma con una grande coda di paglia, per alzare la voce e indignarsi contro il governo Israeliano. Come a dire: …stavolta avete superato ogni limite. La formulazione governativa è perfino più corretta: «Inammissibili gli attacchi contro i civili da mesi». Dai mesi del suo silenzio e inerzia. Visto che potrebbe riconoscere lo Stato di Palestina, ma non lo fa; visto che potrebbe chiedere la sospensione dall’Accordo di associazione di Israele con l’Ue, ma invece si oppone; visto che potrebbe anche sospendere direttamente il Trattato-Memorandum militare che come Italia ci lega dal 2005 a Tel Aviv e che ci rende di fatto logistica militare complice del massacro in corso a Gaza. Giorgia Meloni ha sempre detto No. Però adesso si indigna.
Passi che, senza indignazione, siano state rase al suolo finora decine di moschee con centinaia di fedeli dentro, corpi a pezzi tra le macerie dei quali non sapremo mai i nomi; passi che siamo a 90-100 morti al giorno tra donne e bambini che chiedono acqua e cibo e ricevono piombo; passi che siamo arrivati al traguardo criminale che sarà superato di 60mila morti e centinaia di miglia a di feriti. Ma la chiesa non si tocca. Nel buio del suo silenzio Giorgia Meloni non dice – come potrebbe? – la verità che Netanyahu prepara: che tutti i palestinesi, musulmani o cristiani che siano, devono essere cacciati in più di due milioni da Gaza, mentre in Cisgiordania i coloni avviano una violenta pulizia etnica che riguarda palestinesi sia musulmani che cristiani. Ma per questi territori occupati non batte il cuore d’Europa. Ha scritto il poeta palestinese Ibrahim Nasrallah nel poema luminoso “Maria di Gaza” – d’ispirazione cristiana ma scritto da un musulmano e che per tema ha però la collera: È’ il cielo sopra di noi/ che non ci vede? O forse è la croce/ sulle nostre spalle/ che nei campi di sangue amaro/ ci cela e nasconde?”.
Altro che la fiction della tregua, annunciata sempre insieme ai massacri: oltre la chiacchiera della tregua c’è la realtà della nuova Nakba (Catastrofe) per un intero popolo, senza alcuna meta stavolta. Naturalmente per il bombardamento della chiesa c’è subito la versione dell’errore da parte dei vertici militari e del governo israeliano, con l’immancabile inchiesta: «È stato un errore di tiro…». Si fa presto a trovare un soldato responsabile dei crimini di un governo.
Ma la pezza sembra peggiore del buco. Perché allora chi voleva, ma la precisione sarebbe mancata, colpire il cannone ipertecnologico israeliano, quale era il target «giusto», quanti civili voleva uccidere, quali case, scuole, centri dell’Onu, moschee voleva abbattere?
18/07/20255
da Il Manifesto