‘Come la Sicurezza nazionale ha trasformato la politica economica’ titola una recente inchiesta del Financial Times. E ciò che ne emerge è la conferma che la globalizzazione è in ritirata e da questa sono originate le cause e le conseguenze che stanno dando vita a una nuova era di nazionalismo economico.
Nazionalismo economico a colpi di gru
‘Dual Use’: uso doppio o a moltiplicare, a dirci che un prodotto può avere un utilizzo parallelo sia in ambito industriale e civile, sia per il settore militare o dello spionaggio. La tecnologia di questi prodotti permette di fare entrambe le cose. Un esempio? Le gru. In particolare quelle che movimentano le merci dei porti americani, ma anche europei, sono a maggioranza di fabbricazione cinese. La tecnologia necessaria al funzionamento di quelle gru, mediante centinaia di microprocessori, può rilevare e trasmettere dati su tutto ciò che accade in quel porto e con quelle merci, incluse le spedizioni militari. Informazioni altamente sensibili che in mano ad un avversario e potenziale nemico possono concedere la possibilità di prendere il controllo di strutture strategiche come i porti nazionali, appunto.
Quindi, dopo aver identificato (esaltato) i rischi derivanti dall’uso di gru portuali cinesi, Washington ha deciso la più antica e classica azione di protezionismo commerciale: dazio del 25 per cento sulle importazioni delle gru e lo stanziamento di 20 miliardi di dollari di sussidi per riportare la produzione di gru in America e in due paesi amici, come il Giappone e la Finlandia.
Un vago sapore di ridicolo
Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale, a cui il FT ha chiesto un parere sulle nuove strategie di politica economica, risponde con enfasi che “Il ruolo della sicurezza nazionale nella politica e nella strategia commerciale è in aumento ovunque e stimolerà una maggiore competitività economica”. Se non è guerra sparata, guerra commerciale sempre e da sempre. Anche con la scusa della sicurezza nazionale.
In realtà il futuro di queste politiche è assai incerto. Vero che la logica mercantilistica di Pechino è frutto di una strategia egemonica globale. Esattamente la prerogativa originaria del predominio americano, ma che ora vacilla e si trova costretto alla difensiva.
Se il capitalismo occidentale frena
La globalizzazione che aveva messo il turbo al capitalismo occidentale, ora presenta il conto. La sicurezza nazionale non prevede deroghe ed è perciò che Biden è andato anche molto più in là di Trump nel collegare l’economia alla sicurezza nazionale. L’accelerazione del rischio che si sarebbe prodotta negli ultimi tre anni, ha fatto sì che gli Usa abbiano dichiarato una guerra commerciale con le armi “a corto raggio” delle sanzioni. Perché riportare le produzioni sul proprio territorio o in quello di paesi alleati richiede azioni ben più complesse e soprattutto a lungo termine. Nella corsa alla Casa Bianca la differenza la faranno i programmi e le relative promesse di non far pagare alla classe media i costi di questo nuovo nazionalismo economico. Perché ormai è chiaro che, con poche altre alternative all’acquisto dalla Cina, i produttori locali trasferiranno gli extra-costi sul mercato e in ultima istanza sui consumatori.
Alleanze americane sempre più scomode
Al tempo stesso questo indirizzo di politica economica sta complicando non poco i rapporti con gli alleati degli Usa. Da Germania con i produttori di auto a l’Olanda con il leader mondiale di microchip Asml, fino a Tokyo e Seul con i loro mercati che sono i più prossimi alla Cina. In particolar modo in Germania il sistema produttivo ha dato segni evidenti che non è disposto a ridurre le distanze con la Cina. La logica imprenditoriale porta a chiudere le attività se il costo per riconvertirle è maggiore agli utili che potrà generare. L’indebitamento record di Usa e Ue non permetterà facilmente di sostenere chi decide di riportare le fabbriche sul suolo nazionale.
Il nemico ‘mercato’
Il vero avversario dei rispettivi candidati alla Casa Bianca rischia quindi di essere il mercato. La guerra in Ucraina è lì a dimostrare la resilienza delle reti d’interscambio commerciale e di interessi che resistono a sanzioni di ogni tipo. Così le aziende cinesi si potranno servire di paesi terzi per aggirare regole e barriere. Non bisogna mai dimenticare che la forza del mercato e degli affari prevale sulle questioni politiche e le battaglie dei valori.
12/09/2024
da Remocontro