23/10/2025
da Il Fatto Quotidiano
Per il 2026 previsto un taglio al "Fondo povertà" di 267 milioni di euro. Una riduzione del 65% delle risorse destinate a interventi e servizi sociali in favore dei beneficiari dell'Adi
Dopo aver cancellato il Reddito di cittadinanza (Rdc), il governo affossa la misura con cui l’ha sostituito, l’Assegno di inclusione (Adi). Come ribadito dallo stesso governo anche nel recente Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2024-2026 (decreto del ministero del Lavoro 2 aprile 2025), l’obiettivo dell’Adi “è di accompagnare il sostegno economico con un progetto concretamente orientato alla rimozione delle condizioni che sono alla radice della situazione di povertà”. Perché “il tempo dell’assistenzialismo è finito”, ha ribadito di recente la viceministra del Lavoro, Maria Teresa Bellucci (FdI). Parole che si infrangono sul taglio delle risorse al Fondo per il sostegno alla povertà e per l’inclusione attiva, la cui “prima sua finalità è il finanziamento degli interventi e dei servizi sociali di contrasto alla povertà attivati in favore dei beneficiari dell’Adi”, c’è scritto nel Piano nazionale.
Nella bozza della legge di bilancio, l’Adi vede sì un incremento di spesa per il sussidio monetario di 380 milioni di euro per il 2026 e aumenti progressivi negli anni successivi. Ma per compensare la spesa effettua un trasferimento a danno delle risorse per il “percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa” col quale il governo si impegnava a interrompere il “circolo dello svantaggio sociale”. Di quanto parliamo? L’articolo 38 della bozza di bilancio prevede un taglio al “Fondo povertà” di 267,16 milioni di euro per il 2026. Secondo lo stesso Piano nazionale sociale varato ad aprile, la “quota servizi” destinata all’Adi ammontava a 417 milioni di euro, ridotti ora del 65%. Nel 2027 la sforbiciata arriverà a 346,95 milioni di euro e sommando i tagli previsti fino al 2035 si arriva a 1,65 miliardi di euro sottratti direttamente alla capacità degli Ambiti Territoriali Sociali (ATS) e dei Comuni di reclutare il personale necessario, attivare le equipe multidisciplinari (composte da assistenti sociali, educatori professionali e psicologi), e finanziare i percorsi di formazione e inclusione. Così, dopo aver dimezzato la platea del Reddito di cittadinanza (il 40% dei poveri che beneficiavano del RdC ha perso il diritto con l’Adi), ora il governo si concentra sui servizi per l’inclusione, confermando il “limitato interesse per la lotta alla povertà”, come ha scritto la Caritas Italiana nel Rapporto 2025 sulle politiche di contrasto alla povertà in Italia.
Servizi che non sono optional. Nel Piano sociale e così nelle sue Linee guida, il governo specificava che i servizi necessari per definire e attuare i percorsi personalizzati “costituiscono Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS)“, che sono i diritti minimi e universali che lo Stato deve assicurare “per garantire qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, prevenzione, eliminazione o riduzione delle condizioni di svantaggio e di vulnerabilità”. Quanto all’Adi, “la valutazione multidimensionale, il progetto personalizzato e gli interventi di sostegno attivati nell’ambito del Patto di inclusione sociale (PaIS) sono da considerarsi quali livelli essenziali delle prestazioni”. Che tanto essenziali non sembrano più, visto che i due terzi delle risorse sono stati tagliati e a risentirne sarà il Servizio Sociale Professionale, il cui potenziamento mira a garantire un assistente sociale ogni cinquemila abitanti, obiettivo ancora da raggiungere in molte aree del Paese. Ma anche i sostegni previsti nei Patti per l’Inclusione Sociale a favore dei nuclei familiari con bisogni complessi, come i tirocini per l’inclusione, l’assistenza domiciliare socioassistenziale e gli interventi di sostegno alla genitorialità. E poi il Pronto Intervento Sociale, l’educativa domiciliare o territoriale, i Progetti Utili alla Collettività e l’adeguamento dei sistemi informativi dei Comuni. In altre parole, il governo mina l’attuazione del suo stesso Piano sociale, trasformando di fatto l’Adi in una mero sussidio assistenziale.