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La memoria del 7 ottobre seppellita sotto 70mila corpi

La memoria del 7 ottobre seppellita sotto 70mila corpi

Politica estera

07/10/2025

da Remocontro

Ennio Remondino

Quando l’odio alimentato con costante ferocia alla fine esplode, e fu il 7 settembre di Hamas. Al tempo di Gaza perfino i governi europei più vicini a Tel Aviv hanno dovuto prendere qualche distanza. Il disegno egemonico ed espansivo israeliano non ha più nulla a che fare con il 7 ottobre, come sostiene meglio di noi lo scrittore Marco Bascetta, sul manifesto

Quando l’odio alimentato alla fine esplode

  • Che fine ha fatto il 7 ottobre, la memoria di quel sanguinoso pogrom che i miliziani di Gaza scatenarono due anni fa contro inermi cittadini israeliani?

  • La risposta più diretta e immediata è che è finito sepolto sotto decine di migliaia di morti e una montagna di rovine. All’indomani della strage del 7 ottobre Israele fu oggetto di una estesa solidarietà. Tuttavia non mancarono in diversi paesi esponenti e militanti della sinistra che accecati da fanatismo antisraeliano salutarono il massacro come un atto di liberazione. Dall’altra parte anche il più timido accenno, privo di ogni intento giustificatorio, al contesto di oppressione e sofferenza in cui quell’attacco era maturato fu subito tacciato di antisemitismo filoterrorista. Comprensibilmente, le modalità raccapriccianti dell’incursione dei miliziani non lasciavano spazio a divagazioni storico-politiche.

Due anni dopo scopriamo il resto

Ma cosa è cambiato due anni dopo nell’opinione pubblica mondiale e nei rapporti tra Israele e i suoi alleati? Quasi tutto. Perfino i governi europei più vicini a Tel Aviv, hanno dovuto alla fine far ricorso a un’espressione, che più ipocrita e viscida non poteva essere, come «reazione sproporzionata», per nominare eufemisticamente il massacro di 70mila persone e l’immane devastazione della striscia di Gaza da parte dell’Idf. Insomma Netanyahu avrebbe semplicemente esagerato. Ma in questa «esagerazione» c’è una logica. Vi è infatti qualcosa che il governo di Israele voleva ad ogni costo seppellire attraverso un’azione smisuratamente devastatrice.

Netanyahu contro Israele

Non certo la memoria dei suoi morti e delle violenze subite, ma quella del suo fallimento, del mito infranto di una intelligence infallibile e dell’esercito più efficiente e tempestivo del mondo, garante di una protezione ermetica dei cittadini israeliani. A questo scopo, per riscattare la classe dirigente e ristabilire il prestigio del suprematismo militare israelita e degli inafferrabili 007 infiltrati per ogni dove, nonché restituire consistenza alle sue minacce, lo stato ebraico ha deciso di colpire indiscriminatamente e ovunque, di radere al suolo città, villaggi, quartieri e palazzi, non solo a Gaza e in Cisgiordania, ma dalla Siria allo Yemen, dal Libano all’Iran al Qatar. Di porsi al di fuori e al di sopra di ogni regola del diritto internazionale e di ogni ragionevole moderazione.

La «dismisura» diveniva il cuore della politica israeliana. Al servizio di un disegno egemonico ed espansivo che col 7 ottobre e la sicurezza del paese non aveva da tempo più nulla a che fare.

Morte dell’Israele morale e democratico

Man mano che le operazioni militari si allargavano e approfondivano, pure la loro narrazione cambiava di tono. Sparivano, anche perché smentite dall’evidenza dei fatti, le celebrazioni delle qualità etiche e democratiche dell’Idf, le finte inchieste sulle sopraffazioni e le violenze gratuite da parte dei soldati israeliani, i bombardamenti chirurgici e l’attenzione per l’incolumità dei civili, fino ad arrivare al tiro al bersaglio sulle persone in attesa di cibo. L’esercito «più morale del mondo» lasciava volutamente la scena a quello più spietato, vendicativo e indiscriminato nell’uso della forza. Ogni palestinese un terrorista o un suo complice, ogni edificio una «infrastruttura di Hamas».

Crimini di guerra come pratica

Con questo sfacciato cambio di tono in gran parte dell’Europa diveniva praticamente impossibile mettere a tacere il moltiplicarsi delle denunce dei crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano, reprimere le manifestazioni sempre più partecipate a favore della Palestina, assimilare al terrorismo simboli e slogan, come avveniva durante il primo anno di guerra, soprattutto in Italia e Germania. Anche l’accusa di antisemitismo, rivolta in una prima fase contro ogni critica indirizzata all’azione politica e militare di Israele, che aveva esercitato una certa deterrenza soprattutto a sinistra, è stata talmente abusata, stravolta e strumentalizzata, da perdere di forza e significato. Se si denuncia l’intera Onu, come covo di antisemiti, non si può pretendere di essere presi sul serio. Nonostante si registri effettivamente una ripresa di vecchi e nuovi sentimenti antisemiti in Europa anche tra quelli che stigmatizzano la guerra di Netanyahu, però sulla base di torbidi presupposti antiebraici.

  • Ma intanto l’immagine e la credibilità di Israele hanno subito altri colpi micidiali: l’entusiastica condivisione della grottesca idea trumpiana di trasformare Gaza, una volta sterminati e deportati i suoi abitanti, in una riviera di lusso fonte di lucrosi affari immobiliari è già apparsa abbastanza ripugnante.

I due ministri ‘tagliagole’

Si aggiungono poi le ripetute esternazioni dei due ministri dell’estrema destra nazionalista che tengono in piedi il governo di Netanyahu e che nessuno stato anche solo formalmente democratico potrebbe mai tollerare. Fino ad oggi i governi europei hanno cercato di ignorarle per non essere obbligati a troncare i rapporti con un governo che annovera tra i suoi ministri fautori della superiorità razziale ebraica e del diritto divino allo sterminio dei nemici. Personaggi che non hanno nulla da invidiare ai tagliagole dell’Isis o ai Talebani e che sfoggiano orgogliosamente la propria ferocia.

Riarmo, nazionalismo xenofobo, nuovi fascismi

Di pari passo con le difficoltà dei governi europei nel salvaguardare i rapporti politici e affaristici con questa Israele, cresce in tutta Europa un imponente movimento di solidarietà con i palestinesi che incrocia però anche diverse altre linee di conflitto: dall’erosione degli spazi democratici al riarmo, dal nazionalismo xenofobo alle diseguaglianze e all’avanzata dei nuovi fascismi. Per dimensioni e partecipazione questo grande movimento filopalestinese ha un precedente: l’imponente ondata di manifestazioni e proteste in tutta la Germania dopo il convegno dell’estrema destra a Potsdam intento a pianificare la «remigrazione», ossia la deportazione di massa degli stranieri. A ben vedere c’è più di una affinità tra questi due movimenti europei nello spirito antifascista e antisuprematista in lotta contro quell’idea di purezza, omogeneità sociale e proprietà etnica del suolo, che accomuna gli Smotrich e i Ben Gvir ai neonazisti europei.

Il Vaticano

«Disumano l’attacco terroristico compiuto da Hamas e da altre milizie contro migliaia di israeliani. E disumane le conseguenze della guerra che ne è scaturita» a Gaza. Il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, si affida allo stesso aggettivo per descrivere la «brutale violenza» del 7 ottobre di due anni fa e il conflitto «devastante» nella Striscia di Gaza: «massacro indegno», come lo definisce il porporato, contro Israele di fronte al quale «la Santa Sede ha espresso immediatamente la sua totale e ferma condanna, chiedendo subito la liberazione degli ostaggi e manifestando vicinanza alle famiglie colpite». «È inaccettabile e ingiustificabile ridurre le persone umane a mere ‘vittime collaterali’».

La Natività 2023 a Betlemme

Il 25 dicembre 2023, dal pulpito della Chiesa della Natività a Betlemme, nel racconto di Chiara Cruciati. Il reverendo palestinese Munther Isaac tenne un’omelia per il mondo: «Noi palestinesi ci riprenderemo. Ci rialzeremo di nuovo dalla distruzione come abbiamo sempre fatto come palestinesi. Ma coloro che sono complici, mi dispiace per voi. Vi riprenderete mai da tutto questo?». Di fronte aveva un presepe avvolto tra le macerie simbolo dell’annichilimento di Gaza. Erano trascorsi pochi mesi dall’attacco di Hamas, dai 1.200 israeliani uccisi e gli oltre 250 rapiti e dall’inizio di un’offensiva feroce contro la Striscia che si è fatta genocidio.

732 giorni nell’abisso

Sono trascorsi 732 giorni e l’abisso non è mai sembrato tanto profondo, capace di inghiottire vite umane, comunità, sogni, ma anche gli strumenti condivisi del diritto internazionale e un bagaglio di valori dato per scontato. Il secondo anniversario del 7 ottobre cade, però, in un contesto molto diverso dal primo, in un turbinio che è doppio: il negoziato egiziano e la mobilitazione globale. Due piani paralleli: da una parte l’idea della pace come mera assenza di conflitto che non prevede eguaglianza né liberazione; dall’altra una richiesta potente di giustizia per le vittime e i sopravvissuti, per una storia che non si limita a questi 732 giorni ma che attraversa intere generazioni di oppressi.

La trattativa

I negoziati indiretti a Sharm el-Sheikh cominceranno a entrare nel vivo solo oggi, la cronaca di Michele Giorgio. Ieri si sono svolte riunioni informali delle due parti con i mediatori di Egitto, Qatar e Stati Uniti. Al momento il progresso del piano americano resta un’ipotesi, nonostante l’ottimismo artificiale della Casa Bianca. Sarà già un risultato eccezionale realizzare la prima fase della proposta in 20 punti – lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi – annunciata dall’Amministrazione statunitense e accettata da Netanyahu e da Hamas.

Accordo globale per il cessate il fuoco

L’obiettivo è raggiungere un accordo globale, con tutti i dettagli definiti prima dell’inizio del cessate il fuoco. Le delegazioni – quella di Hamas, guidata da Khalil al-Hayya che Netanyahu ha provato a far uccidere il mese scorso a Doha, e quella di Israele, guidata dal ministro Ron Dermer, braccio destro del premier – hanno cominciato a discutere una serie di passaggi preliminari, stabilendo regole e principi generali per i negoziati nelle varie fasi.

Fidarsi di certi interlocutori?

  • Hamas, ha spiegato una fonte egiziana, vuole una garanzia esplicita da parte degli Stati Uniti che quanto concordato verrà effettivamente attuato. Soprattutto chiede che Israele ritiri i suoi soldati da Gaza e non scateni una nuova offensiva dopo aver ottenuto il rilascio di tutti gli ostaggi. Si dice inoltre pronto a discutere delle possibili forme del suo disarmo che, ripete, non sarà mai totale, come pretendono Israele e Usa. Il disarmo totale o la distruzione di Hamas resta invece la condizione posta dai ministri dell’ultradestra israeliana Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich a Netanyahu.
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