Ugo Tramballi da Gerusalemme vede e può dirci cose che da lontano possono anche stupire. ‘Slow news’ su cui riflettere. Ad esempio sul fatto che se può esistere un vincitore di questa guerra sempre in bilico fra tregua e massacro senza fine, quello è Hamas. «Con brutalità e cinismo è stato capace di prevalere sulle altre fazioni palestinesi più moderate e tener testa per oltre 15 mesi alle forze armate più potenti del Medio Oriente, a costo della vita di decine di migliaia di civili».
«Affermazione azzardata e una spiegazione»
Per Benjamin Netanyahu e il suo governo nazional-religioso, la vittoria poteva essere solo assoluta: sradicare Hamas. Non ci sono riusciti. Al movimento islamico palestinese, invece, bastava sopravvivere. Lo ha fatto: è stato degradato ma è ancora capace di combattere e a Doha sono i suoi rappresentanti che hanno trattato le condizioni per il cessate il fuoco. La gerontocrazia di Ramallah, cioè l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen, dell’Olp e di Fatah, molto simile a quella sovietica dei tempi di Leonid Breznev, non ha mai avuto un ruolo.
Stato palestinese inesistente
Prima del 7 ottobre dell’anno scorso l’eventualità di uno stato palestinese era inesistente: non ne parlavamo noi europei, non l’amministrazione americana e nemmeno i regni ed emirati del Golfo che, invece, tessevano rapporti economici e tecnologici con Israele. Nel modo più brutale possibile Yahia Sinwar ha ricordato a tutti «che decenni di occupazione non potevano essere amministrati come un campo profughi: avrebbero solo coltivato l’odio e prima o poi prodotto un 7 di ottobre».
L’eredità di Hamas
Eliminato Sinwar, oggi è suo fratello Mohammed che sta trattando la tregua: giusto per ricordare una volta di più a Israele che per quanti capi nemici elimini, ci sarà sempre qualcuno che ne prenderà il posto. Nella gran parte dei casi è accaduto che fossero peggiori del predecessore. Ahmad al-Shara, il leader della Siria libera ha forse inaugurato una nuova tendenza araba: quella del cammino di una nuova generazione di leader dall’estremismo islamico al pragmatismo dell’inclusione. Di Mohammed Sinwar non si conoscono segnali di cambiamento da una lotta armata senza senso, alla ricerca di una soluzione politica per l’indipendenza palestinese.
Comunque, sempre Hamas in campo
Tuttavia c’è stata una specie di conferma dell’imprescindibile ruolo di Hamas sul futuro della Palestina quando la gioia di israeliani e palestinesi per la tregua è stata brutalmente congelata per le difficoltà interne al governo israeliano. Suspence per il rifiuto dei partiti nazional-religiosi nell’esecutivo di ratificare i termini del compromesso. Itamar Ben Gvir e Bezelel Smotrich, i loro leader, sono disposti a votare la tregua solo se Netanyahu garantiva che al suo termine la guerra riprenderà come prima. «Fino alla sicura vittoria». Il loro obiettivo è ricostruire colonie ebraiche nella striscia.
Appoggio Usa ma condizioni severe
Il premier non può farlo perché sembra chiaro che Donald Trump non sia disposto a garantire tutto ciò che Israele vuole. Lo si capisce da ciò che il suo rappresentante personale alle trattative di Doha ha imposto a Netanyahu: per esempio il ritiro dal corridoio Philadelphi, al confine con l’Egitto. Ora non sono i palestinesi ma Israele a ostacolare una pace che Trump ha assunto come sua
Hamas che resta al governo di Gaza
La vittoria di Hamas, cioè di un’organizzazione terroristica destinata a rimanere a Gaza, non è una buona notizia. Renderà impossibile l’insediamento di una nuova amministrazione guidata dall’Autorità palestinese. E non si troveranno i necessari finanziatori – soprattutto nel Golfo – della lunga e costosa ricostruzione. Posto che la tregua sia confermata, che prima o poi si trasformi in pace permanente e che Israele accetti di lasciare ad altri il controllo della striscia.
Stato palestinese per il resto del mondo
Tranne che al governo e a una larga parte dell’opinione pubblica israeliana, al resto del mondo sembra evidente che l’unico modo per risolvere il conflitto sia la ripresa di una trattativa per uno stato palestinese. Ora appare come un’impresa impossibile, data l’incomunicabilità fra i due popoli. Ma per quel poco che si può intuire delle intenzioni di Donald Trump, sembra che anche lui si sia fatto questa idea.
Sauditi ed Emirati in avanscoperta
I suoi emissari mandati in avanscoperta in Arabia Saudita ed Emirati si sono sentiti ripetere la stessa cosa: dopo ciò che è accaduto a Gaza nessun paese arabo – nemmeno i loro, storicamente così freddi verso la causa palestinese – può permettersi di avere relazioni con Israele. Almeno fino a che non cessi il conflitto nella striscia e all’orizzonte non si intraveda un negoziato di pace più vasto di quello condotto a Doha.
20/01/2025
da Remocontro