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La notte degli operai ex Ilva mentre Taranto affonda

La notte degli operai ex Ilva mentre Taranto affonda

Lavoro

03/12/2025

da Il manifesto

Francesco Bagnardi

Bel lavoro A un passo dalla dismissione, esplode la protesta nel sito pugliese. Si ferma l’unico forno ancora in funzione fin quasi a spegnersi

La protesta negli stabilimenti ex Ilva di Genova, Novi Ligure e Racconigi è andata avanti ieri, per il secondo giorno. E anche a Taranto è ripresa la mobilitazione. Fiom, Fim, Uilm e Usb tarantini hanno proclamato uno sciopero a oltranza a partire dalle 12 di ieri. La protesta è iniziata dentro la fabbrica dove qualche centinaio di operai ha bloccato i binari tra Afo4 – l’unico altoforno ancora in funzione – e l’acciaieria. Nel frattempo, una cinquantina di operai dava inizio a un presidio alle porte del palazzo della direzione centrale, ormai blindato, in attesa di istruzioni dai colleghi dentro.

IL BLOCCO DEI BINARI è durato un paio d’ore fermando quasi del tutto la marcia dell’altoforno. Gli operai hanno smobilitato perché una fermata improvvisa dell’impianto avrebbe potuto generare danni permanenti ed emissioni nocive diffuse. La protesta si è quindi spostata al reparto spedizioni prima e fuori dalla fabbrica poi, quando gli operai hanno deciso di bloccare la Statale 100 davanti all’entrata del siderurgico e della vicina raffineria Eni.

I sindacati chiedono il ritiro del piano di decarbonizzazione proposto dal governo e un tavolo unico di negoziazione a Palazzo Chigi. Dopo il fallimento della seconda asta per la vendita del gruppo, a novembre il governo aveva convocato i sindacati per comunicare loro di un ‘piano corto’ che prevedeva una decarbonizzazione rapida degli impianti in 4 anni e una vendita imminente a privati non meglio identificati. Per i sindacati si tratta di un piano di chiusura che in realtà ferma le cokerie di Taranto sospende l’invio di coils (bobine) da lavorare nello stabilimento di Genova. Al tavolo sono seguiti gli scioperi su tutti gli stabilimenti e sono arrivate convocazioni separate per le varie rappresentanze sindacali: prima gli stabilimenti del nord, poi Taranto. Agli incontri separati di venerdì al ministero del Made in Italy, le rappresentanze tarantine di Fiom e Uilm non si sono presentate mentre Fim e Usb hanno solo potuto constatare la mancanza di novità rilevanti. Ieri mattina il ministero ha convocato nuovamente incontri separati per la fine della settimana. Ce ne sarà uno per regione con le sole istituzioni locali. «Il governo vuole dividere Nord e Sud, comunità e lavoratori», commenta amaro al presidio un delegato. Forse non è solo il governo

NELLA RELAZIONE del presidente Antonio Gozzi all’assemblea annuale di Federacciai, lo scorso novembre, sono elencate le priorità del settore che, con la produzione tarantina ai minimi termini, resta competitiva producendo acciaio con forni elettrici alimentati a rottami di ferro. Le priorità degli acciaieri italiani, quindi, sono l’approvvigionamento di gas ed energia a costi competitivi, una spinta verso il nucleare, protezionismo europeo per non esportare rottami ferrosi da usare in patria, allentamento delle regole europee su emissioni e obiettivi del Green Deal. Mantenere una produzione di acciaio primario da altoforno nazionale, quindi, non è più una priorità per gli acciaieri italiani, la crisi del gruppo ex Ilva non è la crisi del settore, e la costruzione di un impianto di pre-ridotto a Taranto o altrove può essere una buona idea per affiancare l’uso di rottami ferrosi, a patto che non si crei troppa capacità aggiuntiva da forni elettrici a Taranto, a Piombino o persino a Genova. A Genova, piuttosto, il presidente degli acciaieri italiani aveva già suggerito in passato di concepirsi come stabilimento stand-alone, slegata da Taranto, acquistando coils da trasformare dal migliore offerente.

AL PRESIDIO tarantino trovo facce stanche. Si scherza sulla scarsa partecipazione dei colleghi che hanno deciso di restare a casa. Sono circa 8mila gli operai diretti di Acciaierie d’Italia, 1.600 sono i dipendenti di Ilva in Amministrazione Straordinaria in cassa integrazione dal 2018, e circa 3mila i lavoratori degli appalti. Al blocco della Statale 100 però ci sono forse 300 persone. «Dobbiamo fare il presepe con i pupazzi che abbiamo», scherza un delegato. I paragoni con la capacità di azione collettiva dei colleghi genovesi si sprecano. Ma da Genova non arrivano solo scene di blocchi stradali e solidarietà di cittadini e istituzioni, che qui a Taranto sono un ricordo passato. Il video di un’intervista di uno storico delegato della Fiom impegnato negli scioperi del 19 novembre a Cornigliano ha fatto il giro dei telefonini dei lavoratori tarantini. Nell’intervista, l’operaio, casco giallo e scritta Ilva in bianco su fondo blu, chiama le istituzioni locali liguri a prendere posizione a fianco degli operai in mobilitazione. «Perché se Taranto affonda, noi non vogliamo andare a picco con loro», chiosa. Gli operai che incontro al presidio continuano a parlarne.

NEL 2005, ricostruisce uno di loro, quando ancora c’erano i Riva, la parte a caldo di Genova, cioè quella a maggior impatto ambientale, fu chiusa mentre a Taranto raddoppiava. Pochi anni dopo, i reparti di laminazione tarantini iniziavano un periodo di cassa integrazione di fatto mai veramente concluso, mentre i coils prodotti a Sud venivano laminati negli impianti di Cornigliano. Lascio il blocco a inizio serata. «Se non arriva una convocazione da Palazzo Chigi per un tavolo permanente e unitario da qui non ci muoviamo» promettono gli operai. Faranno un falò poco dopo e arriverà da mangiare per passare la nottata. Sullo sfondo dallo stabilimento si alzano le nuvole bianche della ‘sfornata’, contro il cielo scuro.

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