«Gaza potrebbe diventare il Vietnam di Biden, che deve smetterla di firmare assegni in bianco a Netanyahu», ha detto Bernie Sanders in un’intervista alla CNN, proprio mentre la protesta studentesca si allarga a macchia d’olio nei campus universitari di tutto il Paese.
L’elite Dem contro la presidenza Biden
Le parole del senatore Indipendente del Vermont, coscienza critica del Partito Democratico e leader del ‘blocco liberal’, spiccano per la loro autorevolezza e sono il segno più lampante di un malessere diffuso dentro la società americana. Ma, soprattutto, mettono clamorosamente in discussione le capacità di gestire la politica estera dell’Amministrazione Biden, in particolare nel Medio Oriente.
L’ebreo Sanders all’ostinato Biden
«Sanders, che è ebreo e la cui famiglia paterna è stata uccisa nell’Olocausto, è stato uno dei principali sostenitori del condizionamento degli aiuti statunitensi a Israele», sottolinea il New York Times. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e le prime reazioni israeliane, Sanders non aveva chiesto un cessate il fuoco ed era stato criticato da molti ambienti della sinistra progressista americana. Ma, con l’aggravarsi della crisi e l’enormità delle vittime civili a Gaza, il senatore ha preso le distanze dalle scelte di Netanyahu e dalla politica di sostegno offerta da Biden. Fino ad arrivare alla posizione attuale di aperto dissenso, che rischia di far perdere al Presidente altri consensi, rispetto a quelli che i sondaggi già indicano in uscita.
Il troppo di Israele-Biden secondo Sanders
«Israele aveva il diritto assoluto di difendersi da questo attacco terroristico – ha detto Sanders – ma non ha il diritto di entrare in guerra contro l’intero popolo palestinese, che è esattamente quello che sta facendo. Inoltre, i dollari dei contribuenti americani non dovrebbero andare al governo estremista di Netanyahu per continuare la sua devastante guerra contro il popolo palestinese».
Verso il Vietnam di Biden
Confronto politicamente mortale. «Lyndon Johnson, sotto molti aspetti, è stato un Presidente molto bravo a livello nazionale – dichiara Sanders alla CNN – e ha portato avanti alcuni importanti atti legislativi. Ha scelto di non candidarsi nel ’68 a causa dell’opposizione alle sue opinioni sul Vietnam e mi preoccupa molto che il Presidente Biden si stia mettendo in una posizione in cui si è alienato non solo i giovani ma gran parte della base democratica. Tutto a causa delle sue opinioni su Israele e su questa guerra».
Come Johnson a non ricandidarsi
Sanders da appassionato sostenitore delle lotte per i diritti civili, ha invitato il governo federale a confrontarsi con le proteste studentesche nel rigoroso rispetto del Primo emendamento. Tutto questo con un occhio rivolto ai sondaggi, dove l’attuale Presidente deve rincorrere con affanno Trump, soprattutto nei ‘battlegrounds’, gli Stati che a novembre (sono sei o sette) decideranno chi entrerà alla Casa Bianca. E il controllo della situazione sta scappando di mano: Gaza trasformata in “effetto Vietnam” rischia di incendiare (e incenerire) la campagna elettorale di Biden.
Il forte dissenso verso la Casa Bianca dilaga tra i giovani, aumenta tra gli ispanici e i neri e si rafforza, pericolosamente, tra gli elettori indipendenti.
Le rivolte nelle università
Di tutto ciò, in molti casi, sono specchio le rivolte nelle università. La Columbia ha deciso di cancellare la mega-sessione di laurea, del prossimo 15 maggio (con 15 mila studenti), perché si temeva che la cerimonia si trasformasse in protesta. Come è già successo all’Università del Michigan, dove molti laureandi, sfilando sul palco, hanno compiuto il tradizionale lancio del cappello al grido di «Reggenti, reggenti, non potete nascondervi. State finanziando un genocidio». Tutto questo mentre, davanti a decine di migliaia di persone, venivano mostrati cartelli del tipo «a Gaza non è rimasta più nemmeno una Università». Cerimonie annullate anche in California e in diversi altri Stati, a tal punto che il New York Times, davanti al «Nuovo Vietnam» evocato da Sanders, ha elaborato un report statistico sulla protesta.
La statistica delle proteste
Finora risultano coinvolte più di 50 università e campus, dove l’incalzare delle manifestazioni e la crescente durezza della repressione, ha portato finora a circa 2500 arresti. Per la serie «la democrazia si esporta, ma a casa nostra la regoliamo noi», la polizia americana non ha tenuto in grande considerazione il Primo emendamento. A scorrere la lista pubblicata e dal New Yotk Times, si vedono comparire gli Atenei più prestigiosi d’America. Ognuno con le sue ‘vittime’: Columbia (212 arresti), City College New York (172), Emerson College Boston (118), North-East University (98), Arizona University (72), State University N.Y. (133), Texas University Austin (136), South California (93), St. Louis University (100), California Los Angeles (243), Chicago Art Institute (68), Indiana University (57), Ohio University (38), Colorado University (40), Yale University (52). E, via arrestando di questo passo, seguono un’altra quarantina di istituzioni accademiche.
Repressione dura per molta paura
Certo, in molti casi la protesta ha rotto gli argini della legittimità, arrivando a richieste che non riguardavano solo i diritti umani, ma anche la politica internazionale. Il tema del ‘boicottaggio’, per esempio, resta molto controverso. Specie quando si parla di scienza, cultura e sport, relazioni che dovrebbero essere sempre e comunque salvaguardate. Come va assolutamente custodita, in modo sacro, la libertà di espressione garantita dal Primo emendamento della Costituzione.
E a quelli che cercano degli alibi, per sfuggire alle loro responsabilità e al giudizio della storia, ecco ciò che risponde Bernie Sanders: «L’idea che le persone critiche nei confronti di ciò che Netanyahu sta facendo siano antisemite è una sciocchezza. Ed è una linea molto, molto pericolosa da oltrepassare in termini di libertà di espressione in questo Paese».
07/05/2024
da Remocontro