28/09/2025
da Il Manifesto
Germania. Una piazza piena per la storica svolta della sinistra, da ieri criticare Israele non è più un tabù
Finalmente, il grande moto di piazza della Linke per la Palestina. Con i massimi dirigenti in testa pronti, per la prima volta, a scandire ad alta voce la parola “giusta”, che fino a tre mesi fa era tabù perfino dentro al partito.
«Insieme per Gaza», ovvero «contro il genocidio»: sono i due slogan speculari della straordinaria manifestazione in grado ieri di riunire a Berlino 50 mila tedeschi non più disposti a sopportare la complicità del governo Cdu-Spd ai crimini di Nethanyahu. Ma sono anche due frasi simboliche della inequivocabile, storica e coraggiosa svolta politica della sinistra nel paese dove la ragione di stato pro-Israele vale più della legge e chi si oppone paga il conto personalmente.
CERTO IN RITARDO rispetto al resto dell’Europa; eppure, forse, con un’audacia doppia, in Germania a sinistra si rompe così il paradigma indiscutibile. Politicamente è un colpo di reni in faccia al governo Merz: non è più solo l’extraparlamentare Sahra Wagenknecht a bollare «il lavoro sporco fatto da Israele per conto dell’Occidente» (definizione del cancelliere Merz) come genocidio ma l’unico partito di opposizione al Bundestag che cresce nei sondaggi a parte l’ultradestra di Afd.
Da ieri, senza se e senza ma, anche in Germania è genocidio a tutti gli effetti e chi arma Israele è «complice». Adesso pure qui tutti i riflettori sono accesi sulla Palestina, per merito anche e soprattutto del movimento della società civile – da Amnesty ad Attac, dalle ong palestinesi alle Voci ebraiche per la pace, passando per le sigle sindacali e le comunità etniche – egualmente sfilato in massa nel cuore di Berlino, dalla Wilhelmstrasse fino alla Colonna della Vittoria.
«All Eyes on Gaza» è l’appello coinciso con il raduno di chiusura alle 21 di tutte le demo di ieri. Alla fine, per tutti, il concerto degli artisti, tra cui Kiz, Ski Aggu e Pashanim e la «voce ebraica» del musicista Michael Barenboim.
PER LA POLIZIA schierata a Berlino con 1.850 agenti, questa volta è stato impossibile impedire, sciogliere o anche solo deviare l’enorme corteo transitato per le vie del centro in mezzo ai turisti confinati dietro le transenne, da cui peraltro si sono levati applausi spontanei. Zero proteste pure dagli automobilisti bloccati in coda: non era mai successo.
Soltanto lo spezzone con 1.200 persone partito da Kreuzberg è stato fermato prima di raggiungere il concentramento perché «è stato urlato uno slogan antisemita», così almeno riferisce la polizia e confermano i titoli dell’informazione filo-Tel Aviv, a partire dal quotidiano Bild.
AI TEDESCHI, PERÒ, passa il messaggio di Ines Schwerdter, presidente della Linke, prima firmataria dell’appello contro il genocidio, ieri in prima fila nella demo. «Abbiamo informazioni per usare questo termine – taglia corto – la situazione a Gaza è peggiorata da molti mesi tuttavia solo adesso siamo stati capaci di organizzare questa risposta. Molti giovani si sono politicizzati intorno al tema nelle ultime settimane» ripete a chi le chiede di spiegare cos’è cambiato rispetto a poco tempo fa. Sono le stesse dichiarazioni già rilasciate nella sua intervista alla Berliner Zeitung poche ore prima della demo: la prima volta che usato la parola con la «g», che poi qui è «v» dato che il genocidio suona come «Völkermord».
La pensano come lei i 50mila scesi in piazza ieri per partecipare al «Zusammen für Gaza» convocato dal partito della sinistra internazionalista ad Alexanderplatz, di fronte al Municipio Rosso a guida Cdu-Spd, dove anche fisicamente all’ingresso batte la bandiera di Israele, oppure per tenere «Tutti gli occhi su Gaza» come richiesto dal cartello di associazioni apartitiche ma non apolitiche.
LA MANIFESTAZIONE di ieri di viene dopo la demo organizzata con successo due settimane fa dal Bsw di Sahra Wagenknecht, cui spetta comunque il primato di avere convocato il primo evento nazionale pro-Palestina. «Ma in questa occasione non si è trattato di un one-man show» tengono a precisare i vertici della Linke, marcando la distanza all’interno della causa comune.