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La politichetta dei Grandi nani su Ucraina-Israele-Gaza

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Partiamo dalla Francia e dai cento caccia Rafale promessi a Zelensky che l’Ucraina non vedrà mai. O degli armamenti ed aiuto tedeschi all’infinito futuro. Mentre gli armamenti a Israele in nuova versione Usa-Onu sblocca da subito gli armamenti tedeschi miliardari. Mentre Alberto Negri, testardo, insiste con la seconda Nakba palestinese. Tragedia e stragi.

Quando l’immagine travolge la sostanza

L’annuncio di un presunto accordo tra Emmanuel Macron e Volodymyr Zelensky per la fornitura di 100 aerei da combattimento Rafale, oltre ad armi per i velivoli, droni e 8 sistemi di difesa aerea e antimissile SAMP/T di nuova generazione. Francia ad Europa ad un salto strategico decisivo? No, l’ennesima presa in giro, con Macron e Zelensky, coppia di Pinocchio a cercare di coprire i rispettivi guai politici di casa. I dieci anni che servirebbero per costruire gli aerei e la montagna di miliardi solo per armarli e farli volare. Mentre la situazione militare ucraina che peggiora settimana dopo settimana, esalta le crudeltà dell’inganno. E il dubbio chiave: quanto realismo c’è ancora nella politica europea verso l’Ucraina? Domanda di Giuseppe Gagliano su Inside Over. Risposta da ognuno di voi

‘Piccolenote’ e cattivi pensieri

Il dialogo tra Russia e Stati Uniti è proseguito sottotraccia. Lunedì Witkoff si è incontrato a Miami con il Consigliere per la Sicurezza nazionale ucraino Rustem Umerov, la figura di Kiev più aperta ai negoziati, per concordare un vertice con la leadership ucraina da tenersi a Istanbul. Secondo Politico.eu, Witkoff avrebbe dovuto prospettare a Kiev un piano di pace che gli ucraini avrebbero dovuto sottoscrivere. Evidente che il successivo passaggio a Mosca avrebbe visto Putin accogliere il piano americano ascrivendo il successo al suo omologo statunitense, gloria alla quale Trump più aspira. «Probabile che a far tentennare – fino a farlo recedere – Witkoff sia stato il caos che si è scatenato in Ucraina, dove le inchieste degli uffici anti-corruzione stanno terremotando la leadership politica». «n marciume che la Ue e la Nato, che hanno reti capillari in Ucraina, non potevano ignorare»

Israele e la Germania a farsi perdonare

C’è la tregua -molto per modo di dire-, e la Germania può riarmare Tel Aviv. È durato appena cento giorni l’embargo del cancelliere Friedrich Merz sull’invio di armi made in Germany a Tel Aviv. Dalla settimana prossima Berlino ricomincerà a rifornire Israele di tutto ciò che serve «per la sua difesa», ovvero per sostenere i vari fronti di guerra aperti Nethanyahu, rimarca Sebastiano Canetta sul Manifesto. Su tutto alle forze armate di Tel Aviv servono i pezzi di ricambio per le trasmissioni dei suoi carri armati ‘Merkava’ prodotti dalla tedesca Renk, mentre i motori del tank fabbricati dalla Mtu con sede nel Baden-Württemberg non hanno mai costituito un problema: da tempo, per evitare qualunque grana, il loro invio in Israele viene triangolato via Stati Uniti d’America.

Con qualche retroscena d’imbarazzo

«In parallelo allo sblocco dei contratti (forse in cambio?) si spalanca l’affare multi-milionario dei droni-kamikaze prodotti dall’azienda israeliana Elbit-Systems. Oltre ai tre produttori tedeschi Rheinmetall, Stark e Helsing anche questa impresa risulta nella lista dei candidati destinati a ricevere le ingenti commesse programmate dalla Bundeswehr». Neii giorni in cui il governo decideva per l’embargo parziale dell’export a Tel Aviv, a Berlino venivano stanziati 700 milioni per comprare munizioni da Israele. Parte di quei 377 miliardi di euro per il riarmo che il governo Merz prevede di spendere nei prossimi cinque anni: metà delle 320 riservato all’industria nazionale, il resto per l’obbligo imposto da Trump di comprare armi Usa ma anche ad acquisire i prodotti israeliani non solo nel campo dei droni.

La pace americana letta da Alberto Negri

«La risoluzione Onu voluta dagli Stati uniti sancisce la seconda Nakba (catastrofe) dei palestinesi. Cancella di fatto la formula ‘due popoli, due stati’ lasciando un assai vago ‘percorso verso l’autodeterminazione dei palestinesi’ che non significa nulla». Nitido e chiaro. Con ulteriore chiarezza di partenza: «Ma conferma, dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre, il genocidio di un popolo, affidato militarmente a Israele, con il timbro politico di Trump e il nostro assenso. A meno di non voler credere che davvero un contingente multinazionale e il disarmo di Hamas siano così fondamentali: questi sono dettagli per gettare polvere negli occhi a una comunità internazionale che non vede l’ora di essere accecata e voltare la testa dall’altra parte». Sequono ‘dettagli’ politico morali.

  • La Pax trumpiana, imposta dopo l’attacco israeliano a Doha del 9 settembre scorso, salva Netanyahu e non deve salvaguardare le vite dei palestinesi ma gli interessi americani, come dimostra la visita alla Casa Bianca del principe saudita Mohammed Bin Salman -quello che fece fare a pezzi il giornalista Jamal Kashoggi nel consolato saudita di Istanbul-, intenzionato ad acquistare gli F-35 Usa.

Le risoluzioni Onu per Israele

Quanto valgono per Israele le risoluzioni delle Nazioni Unite ce lo dicono i precedenti. 1947, prima Nakba, l’Onu stabilì che i profughi dovevano tornare alle loro case e che Gerusalemme doveva essere posta sotto il controllo internazionale. E i molti processi di pace, anche quelli che portarono agli accordi di Oslo del 1993, si sono trasformati in una tragica farsa. «Si illudevano i palestinesi e si prendeva un po’ in giro la comunità internazionale mentre Israele aveva l’unico obiettivo di prendere tempo, normalizzare l’occupazione e rapinare altri territori con gli insediamenti. La risoluzione Onu votata ieri ripete lo stesso schema solo con qualche variante più appetibile alla comunità internazionale e agli europei».

  • Per questo credere agli Usa e a Trump oggi è come credere al pifferaio magico dei fratelli Grimm. La risoluzione infatti piace a Israele (che si sente come al solito legibus solutus) e anche all’Anp perché promette di assestare un colpo al rivale Hamas. È un copione già visto, riscritto alla buona per un film già visto. La fine è nota.
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