24/10/2025
da Left
E allora la domanda è semplice: che fine ha fatto l’«Europa geopolitica» promessa dopo l’invasione del 2022? Se non riesce a produrre un suo piano, se interviene solo per correggere gli eccessi dei piani altrui, se reagisce invece di guidare, la sua irrilevanza non è un destino ma una scelta quotidiana
È curioso come la storia si ripeta senza nemmeno lo sforzo di cambiare la scenografia. Stati Uniti e Russia si scambiano bozze di un piano di pace in 28 punti, l’Ucraina viene convocata solo quando tutto è già impostato, e l’Unione europea arriva dopo, brandendo «principi irrinunciabili» che nessuno aveva chiesto. È la diplomazia ridotta a post-produzione: aggiustare il copione scritto da altri.
La bozza fatta filtrare da Washington porta l’impronta di Mosca più di quanto l’UE voglia ammettere: cessioni territoriali, neutralità permanente, limiti all’esercito ucraino, alleggerimento graduale delle sanzioni. Zelensky la definisce un bivio «tra dignità e sopravvivenza degli aiuti». Trump la presenta come un’offerta di pace e, nella stessa frase, come un ultimatum mascherato. A Bruxelles, invece, ci si accorge del processo solo quando i dettagli diventano pubblici.
Il ruolo europeo al tavolo di Ginevra è la fotografia di tutto il resto: non capi di Stato, non leader politici, ma un funzionario della Commissione accanto alle delegazioni ufficiali. L’immagine è quella di un continente chiamato a garantire i fondi della ricostruzione senza avere voce sulla cornice geopolitica. È la forma moderna della marginalità: pagare il conto di una pace decisa altrove.
E allora la domanda è semplice: che fine ha fatto l’«Europa geopolitica» promessa dopo l’invasione del 2022? Se non riesce a produrre un suo piano, se interviene solo per correggere gli eccessi dei piani altrui, se reagisce invece di guidare, la sua irrilevanza non è un destino ma una scelta quotidiana. E ogni scelta, alla lunga, presenta il conto.

