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La povertà alimentare non è solo un problema economico. Intervista a Davide Marino

La povertà alimentare non è solo un problema economico. Intervista a Davide Marino

Politica Italiana

20/10/2025

da Il Fatto Alimentare

Paola Emilia Cicerone

Perché la povertà alimentare è tanto diffusa, nonostante una produzione di alimenti che dovrebbe essere sufficiente per sfamare il pianeta?

Si tratta di un fenomeno complesso, analizzato in dettaglio in un saggio di recente pubblicazione Povertà e insicurezza alimentare in Italia. Dalla misurazione alle politiche (Franco Angeli 2025), qui disponibile in Open Access, e curato da Davide Marino, Daniela Bernaschi e Francesca Benedetta Felici: un lavoro nato dalle ricerche dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare del CURSA – Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente. “È un fenomeno complesso, questi problemi si manifestano in tutto il mondo, nonostante la disponibilità di cibo, – spiega Marino, docente alle Università del Molise e di Roma 3. – Pensiamo che in Italia circa il 5% della popolazione fa richiesta di aiuti alimentari, ritira i pacchi alimentari presso le organizzazioni che offrono questo servizio”. 

E certamente in Italia il cibo non manca. Che ruolo gioca il problema economico?

“Un ruolo importante, anche se è solo una parte del problema. Al di là dei trionfalismi, i dati ci dicono che il 19% della popolazione è a rischio povertà, un dato che aumenta in alcune zone soprattutto del sud, o presso alcune fasce di popolazione come le famiglie numerose ma anche le famiglie con un solo genitore, o gli stranieri”. 

Ma come si calcola la povertà alimentare? In apertura del saggio ci sono due pagine di acronimi… 

“Ci sono molti approcci diversi per calcolarla, gli acronimi citati sono spesso indicatori utili dal punto di vista scientifico, permettono di confrontare situazioni diverse, ma anche di evitare le obiezioni che spesso sono mosse dalla politica quando si parla di insicurezza alimentare. Tra i più utilizzati il FIES (Food Insecurity Experience Scale) che si basa sulla percezione dell’insicurezza alimentare, validato dalla FAO e molto usato anche a livello internazionale, e lo IAE, o Indice di Accessibilità Economica, che misura la capacità delle famiglie di sostenere una dieta sana e sostenibile in relazione al proprio reddito“. 

Qual è la situazione dell’Italia rispetto al resto dell’Europa in quanto a povertà alimentare?

“Se consideriamo la quota di cittadini che ha la possibilità di accedere ogni due giorni a un pasto proteico, il parametro utilizzato da Eurostat, in Italia nel 2023 si parla dell’8,4% della popolazione, una quota di poco inferiore alla media europea che per lo stesso anno è del 9,5%. Bisogna considerare però che questi dati non sono legati al PIL: per esempio in alcuni paesi del Nord Europa, che hanno un PIL pro capite inferiore al nostro, la qualità della vita è migliore proprio grazie al welfare”.

Povertà alimentare - Davide Marino, Daniela Bernaschi, Francesca Benedetta Felici - Franco Angeli 2025

L’economia è solo uno dei fattori in gioco… 

“Non a caso parliamo di food environment: noi viviamo in un ambiente che attraverso i media, la pubblicità etc. non promuove la dieta mediterranea ma ci invita a consumare snack, fast food, patatine, aperitivi. L’immagine del cibo gratificante che arriva oggi è questa. In più, anche se la grande distribuzione è molto diffusa, non lo è ovunque allo stesso modo, e non tutte le tipologie di negozi sono disponibili capillarmente: in alcune zone, anche nelle grandi città, può essere difficile accedere a cibo di qualità. In più, spesso c’è poco tempo da dedicare alla preparazione del pasto, ai tempi di lavoro si aggiungono quelli degli spostamenti, e in casi estremi c’è chi non dispone degli strumenti per cucinare: tutto questo aumenta il consumo di piatti pronti o precotti”.

Con buona pace della dieta mediterranea. 

“Che comunque è già abbastanza lontana dalla nostra alimentazione attuale, anche se è molto vicina all’alimentazione considerata ottimale per la salute umana e per quella del pianeta: e per inciso vorrei sottolineare che in questo caso servirebbe una comunicazione più incisiva, non è facile indurre le persone a cambiare dieta per salvare il pianeta, sarebbe forse più efficace mettere l’accento sui vantaggi per la nostra salute”.

Ma restano comunque motivi di ordine economico.

“Alcuni degli alimenti alla base della dieta mediterranea, come pesce, frutta o verdura fresca, sono stati particolarmente penalizzati dall’inflazione. Ed è difficile promuoverla se un chilo di frutta costa quattro euro, quando con la stessa somma posso comprare pasta, passata di pomodoro e formaggio e dare da mangiare a quattro persone”.

Ci sono però anche altri fattori. 

“Sicuramente pesa la mancanza di educazione alimentare, soprattutto dei bambini. Se prendiamo ad esempio le mense scolastiche di Roma, dove si presta molta attenzione alla qualità del cibo e anche a venire incontro alle esigenze alimentari delle diverse culture, si è visto per esempio che molti bambini non mangiano i legumi. Servirebbe una grande campagna di educazione alimentare, che potrebbe partire dalle mense coinvolgendo le famiglie”.

Bambini in fila al bancone della mensa scolastica mentre un'operatrice passa un piatto con carote, broccoli e pasta al primo della fila; concept: Milano Ristorazione

Le mense scolastiche sono un fattore di riequilibrio perché forniscono un pasto bilanciato a chi non sempre può permetterselo

Queste mense giocano comunque un ruolo importante. 

“Sono un fattore di riequilibrio, perché forniscono gratuitamente un pasto bilanciato a chi non sempre può permetterselo: la mensa scolastica di Roma serve quasi 150mila pasti al giorno, il 12% dei quali a famiglie che non pagano la mensa perché hanno un ISEE basso. Tanto che nelle nostre proposte legate al diritto al cibo, abbiamo inserito la richiesta che le mense rimangano aperte anche quando la scuola è chiusa, proprio per non far mancare questo tipo di sostegno: nel comune di Roma questo è stato già fatto lo scorso anno durante le vacanze invernali, sarebbe importante fornire il servizio anche in estate. Teniamo presente però che nelle regioni meridionali il tempo pieno (con la mensa scolastica) è poco diffuso e questo crea problemi di equilibri familiari e anche nutrizionali”. 

Nel saggio ci sono vari approfondimenti sulla capitale

“Roma è la più grande città italiana, ha un valore simbolico in quanto capitale ma anche una situazione molto articolata, con croniche disuguaglianze, sacche di povertà che ne fanno uno specchio del Paese. Ci sono aree in cui la richiesta di aiuti alimentari supera la media nazionale, zone in cui per mancanza di servizi è difficile perfino accedere ad alimenti sani”.

Quali sono gli effetti della povertà alimentare sulla salute?

“Tra i bambini abbiamo le percentuali più alte di Europa di obesità, tra qualche anno ci troveremo con una società malata, con persone limitate nelle loro opportunità di vita e con una spesa sanitaria in crescita, che considerate le difficoltà che affronta il servizio sanitario nazionale creerà nuove disparità tra chi può permettersi di ricorrere al privato e chi dovrà rinunciare alle cure”.

Ci sono però diverse forme di sostegno attraverso la distribuzione di aiuti alimentari

“Che svolgono un lavoro prezioso, anche se i problemi non mancano. Intanto perché non sempre i centri di distribuzione sono facilmente raggiungibili e a volte costringono le persone a lunghi spostamenti, oltre a fornire prevalentemente cibi confezionati e non alimenti freschi. C’è poi l’esigenza di tutelare la dignità delle persone, che spesso si sentono a disagio a ritirare un pacco alimentare: per questo si stanno cominciando a sperimentare forme innovative, ancora non molto diffuse, come empori solidali o cooperative di comunità.”

Una donna prepara o svuota uno scatolone con frutta, verdura, cibi in scatola e conserve; concept: pacco da giù, donazioni

I problemi non mancano anche nei sistemi di distribuzione di pacchi alimentari

“C’è poi un problema più ampio, legato alla qualità del cibo o al fatto che le donazioni riguardano spesso alimenti in eccedenza o prossimi alla scadenza: in questo modo si crea una sorta di equivalenza, come se il cibo che vale meno fosse destinato a persone che hanno meno valore. Oltretutto spesso gli alimenti più economici proposti dalla Grande Distribuzione sono anche quelli ottenuti con minor rispetto per l’ambiente e per i lavoratori: in questo modo abbiamo cibo prodotto da persone povere che viene consumato da altre persone povere…”.

Nel saggio si parla del cibo come di un bene comune 

“Dovrebbe essere così, il cibo è un bisogno primario fondamentale per la dignità delle persone: il diritto al cibo è presente nella Carta dei diritti dell’uomo. E anche se non è menzionato in modo specifico nella nostra Costituzione ora si sta diffondendo, alcuni comuni come quelli di Livorno e Torino l’hanno già inserito nello statuto comunale. Abbiamo chiesto al Comune di Roma di fare lo stesso. Quello che manca è una gestione nazionale della povertà alimentare: sarebbe importante poter contare su una regia pubblica, con un osservatorio nazionale e un tavolo di coordinamento delle diverse iniziative”. 

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