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La Russia nella guerra che sta vincendo, ma a quale prezzo?

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Politica estera

19/11/2025

da Remocontro

Massimo Nava

Ieri su Remocontro un partecipato dibattito sulla guerra Russia-Ucraina  (https://www.remocontro.it/2025/11/18/guerra-ucraina-negare-lagonia-sul-campo-e-solidarieta-vera/). L’Ucraina ormai allo stremo di uomini e a rischio di sconfitta totale, e la Russia sul cui prezzo che sta pagando le opinioni divergono, soprattutto per carenza di notizie verificabili. Ed ecco l’aiuto insperato di Massimo Nava, Grande firma del Corriere e grande amico di vecchie ‘guerre balcaniche’

Le notizie e le fonti

Le notizie non sono oro colato, ma la fonte – la rivista indipendente Cherta – è attendibile. Ci dice che l’economia russa al tempo di guerra gode ancora buona salute, ma aggiunge che il prezzo politico e sociale è altissimo, come è altissimo il numero di vite perdute al fronte. Una situazione complicata che tuttavia non modifica l’andamento del conflitto e i rapporti di forza. L’autoritarismo centralizzzato del Cremlino velocizza decisioni, impone ritmi di lavoro frenetici, consente l’aggiramento delle sanzioni con ogni mezzo, allarga la sfera delle alleanze e delle complicità. Dall’altra parte, il potere del presidente ucraino Zelensky, che tenterà un ennesimo giro delle capitali europee con il cappello in mano, è indebolito dagli scandali, dalle defezioni, da una piazza in subbuglio e da un’opinione pubblica che – a differenza di quella russa – è abbastanza libera di criticare. In guerra, la democrazia non è un vantaggio.

Sforzo economico totale

Intervistato da Cherta, il sociologo indipendente Alexander Bikbov (ha insegnato all’Università di Bochum, in Germania, e all’École des hautes études en sciences sociales – EHESS- di Parigi) elenca colossali progetti di infrastrutture lanciati dal Cremlino – Isola artificiale a Sochi, TGV Mosca-Kazan, modernizzazione delle linee ferroviarie strategiche – che stanno rafforzando i soliti oligopoli e quindi il consenso di Vladimir Putin.
Dice : « Siamo abituati all’immaginario sovietico, in cui la guerra è sinonimo di privazioni, carestia di generi alimentari, rovine. Ma la guerra è anche una forma di business che porta a una ridistribuzione molto reale delle finanze e delle risorse materiali». Mentre le industrie degli armamenti funzionano a ritmi frenetici, in molte regioni russe si nota una ripresa dei consumi, grazie ai « proventi » dal conflitto sotto forma di indennità alle famiglie dei caduti, premi, stipendi, arruolamenti.
Un esempio significativo di questa strategia economica è la ristrutturazione della rete ferroviaria, con nuove linee, alta velocità, vagoni più moderni.

Più ferrovie ma militarizzate

«La RJD – le Ferrovie Russe – è allo stesso tempo un’azienda statale e un attore privato super aggressivo, che aumenta i prezzi dei biglietti, sopprime le linee regionali e aumenta le tariffe per il trasporto di carburante. Un servizio pubblico lascia il posto a calcoli commerciali. E non si tratta di commercio in un contesto di libero scambio, ma del gioco mercantile di oligopoli e monopoli, strettamente legato ai privilegi concessi dallo Stato».
« L’economia russa degli ultimi anni è caratterizzata da fusioni e acquisizioni. I grandi gruppi concentrano risorse finanziarie molto importanti, ottenute in particolare grazie a commesse e sovvenzioni statali. Per loro è più semplice pagare diritti e tasse crescenti»
«A ciò si aggiunge la specificità del mercato in tempo di guerra: la RJD, che trasporta materiale bellico, o la società di costruzioni VSK [dipendente dal Ministero della Difesa], che sta ricostruendo Mariupol (nei territori ucraini occupati dalla Russia], sono aziende sovvenzionate, in situazione di monopolio. »
La guerra ha ampiamente favorito le attività delle grandi società parastatali, che negli ultimi tre o quattro anni hanno goduto di vantaggi esorbitanti rispetto alle piccole e medie imprese. L’analisi di Cherta mette in rilievo il fatto che persino le città ucraine e le zone distrutte e occupate sono entrate nel mirino degli investitori russi.

Lioudi Baikala

Un altro media indipendente, Lioudi Baikala, riporta l’analisi di un noto economista, Viatcheslav Chiryaïev, a proposito dei costi sostenuti per lo sforzo bellico: l’equivalente di oltre cinque bilanci della Federazione o, più semplicemente, un appartamentino sulle spalle di ogni famiglia russa. È un calcolo approssimativo che comprende risarcimenti alle famiglie dei morti e dei feriti, perdite di migliaia di mezzi militari, miliardi congelati del fondo sovrano e almeno 150 miliardi di euro fra sanzioni e fughe di capitali.
D’altra parte, anche questa rivista nota che il mercato dei risarcimenti di guerra ha rappresentato una manna per le classi popolari russe: comprare un appartamento o un’automobile, costruire una dacia, creare una piccola impresa è diventato possibile grazie alla morte di un proprio caro. Nulla di sorprendente, come in ogni guerra il prezzo della vita umana varia a seconda delle classi sociali di appartenenza. La demografia diventa una variabile commerciale. Lo Stato fissa il tasso di cambio della vita umana. Oltre alla mobilitazione obbligatoria, c’è appunto il reclutamento commerciale. Il primo anno di contratto vale 55 mila rubli. I giovani sono attirati da premi in denaro, simboli patriottici, propaganda, gadget di guerra.

Mille soldati persi al giorno

Un’idea dei risarcimenti di guerra la dà il numero delle vittime. Secondo The Econimist, «la Russia registra la sua milionesima perdita, sull’attuale tendenza di circa 1.000 soldati uccisi o feriti al giorno». È un calcolo drammatico che pesa già oggi sulla demografia dei due Paesi in conflitto e che peserà sulle rispettive economie per generazioni. Secondo un rapporto del Wall Street Journal, «Una stima ucraina riservata all’inizio di quest’anno valutava il numero dei soldati morti a 80.000 e quello dei feriti a 400.000». Le informazioni occidentali, dal canto loro, forniscono stime variabili sui decessi sul fronte russo, ma alcune avanzano cifre che arrivano fino a 200.000 morti e 400.000 feriti. In totale, si tratterebbe di 1.090.000 vittime, il superamento di una soglia psicologica. Il New York Times ricorda inoltre «effetti devastanti a lungo termine per paesi che, prima della guerra, erano già confrontati con un calo della popolazione, principalmente a causa dei disordini economici e degli sconvolgimenti sociali». Per la Russia, innanzitutto, al di là delle vittime di guerra, questo conflitto ha già avuto un enorme impatto sulla sua demografia, poiché «più di 600.000 russi hanno lasciato il Paese dal febbraio 2022, e si tratta soprattutto di giovani». Un grafico delle Nazioni Unite riportato dai media americani, mostra un calo della popolazione russa nei prossimi decenni, così come della popolazione ucraina, che dovrebbe subire una diminuzione ancora più drastica.

  • In Ucraina, la popolazione, che nel 2001 era di 48 milioni, era già scesa a 40 milioni nel 2022 prima dello scoppio del conflitto. Oltre alle vittime, la guerra ha anche provocato la fuga di 6 milioni di persone. A questa situazione già tragica si aggiunge ora «il calo del tasso di natalità, che ha raggiunto il livello più basso mai registrato».

Il neo capitalismo di guerra

Tornando allo stato di salute dell’economia russa, gli esperti intervistati insistono a ricordare un aspetto che sfugge a molti osservatori, qualcuno ancora ossessionato dall’idea che in Russia si annidi qualche forma ideologica di comunismo. È vero il contrario. Il regime russo non è semplicemente una dittatura, una forma di autoritarismo, è anche «una forma di capitalismo in atto». Un capitalismo spietato. «Si avverte un tentativo di sviluppare un’economia di mercato in condizioni che non presuppongono la libera circolazione di capitali, merci e servizi, ma una fusione tra il settore privato e quello statale. In verità, è una tendenza mondiale, in cui il regime russo è leader ». Questo porta alla formazione di oligopoli, ovvero al dominio del mercato da parte di pochi attori importanti, che si rafforzano grazie ai privilegi concessi loro dallo Stato regolatore. «Un modello di questo tipo era caratteristico non solo dei regimi coloniali occidentali, ma anche dell’economia militare hitleriana»
Secondo diversi osservatori, non sono immaginabili a breve un’inversione di tendenza nella struttura dell’economia russa nè un indebolimento tale da portare il Paese alla sconfitta o quantomeno a mettere fine al conflitto. Almeno fino a quando le entrate derivanti dalle immense risorse energetiche e naturali non verrano significativamente interrotte. Il che è praticamente impossibile, nonostante le sanzioni. L’Europa si è tirata fuori, pagando un prezzo altissimo in termini di costo della bolletta e di dipendenza da altri mercati. Ma la Russia continua ad esportare in altri mercati, grazie a solide alleanze anti occidentali.

Oro e petrolio, ma forse non bastano

Inoltre, l’oro accumulato dal governo russo dalla fine degli anni 2000 è stato un mezzo per proteggere l’economia.
«Le riserve auree sono un buon indicatore non solo per analizzare la situazione russa in tempo di guerra. Negli ultimi dieci anni, le riserve auree sono aumentate nei seguenti paesi: Cina, India, Turchia, Brasile, Ungheria, Polonia, Giappone. «Tuttavia, i segnali in controtendenza non mancano. L’inflazione galoppa, le fonti di entrate dello Stato russo stanno diminuendo in modo significativo e la guerra costa 500 milioni di euro al giorno. Nel primo mese di quest’anno, l’aumento netto di questi prezzi è stato del 6%.

  • «Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, più di 1.600 aziende straniere hanno fatto i bagagli, mentre circa 2.100 sono rimaste. La guerra in Ucraina renderà irriconoscibile il mondo degli affari russo», sottolinea il media investigativo russo The Bell, che richiama l’attenzione sull’emergere di una nuova élite economica grazie all’uscita dalla Russia delle aziende occidentali. Queste ultime erano state incoraggiate, nel 2022, a ritirarsi dal mercato russo per infliggere un colpo alla sua economia. In questa indagine pubblicata nel marzo 2024, The Bell riferisce che il Cremlino ha permesso agli imprenditori vicini al governo di acquisire questi beni abbandonati a condizioni molto favorevoli, al di sotto del loro valore di mercato. «La grande svendita non ha offerto opportunità di arricchimento solo agli oligarchi fedeli a Vladimir Putin e ai suoi amici, scrive il media in esilio. Sono gli uomini d’affari di medio livello i veri ‘nuovi russi».
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