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La Spagna ferma l’onda di Meloni, Vox. Forte affermazione di Sumar. E Sánchez resiste

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Al voto del 23 luglio il Partito popolare non ottiene la maggioranza, anche per la débâcle dell'estrema destra, nonostante il sostegno della leader di Fdi e di Orbán. Gli scenari adesso sono due: governo progressista con Psoe, la coalizione di sinistra Sumar e i partiti indipendentisti oppure nuove elezioni in autunno

Il giornale La Vanguardia apre con un titolo che riassume il risultato delle elezioni spagnole e non ha bisogno di essere tradotto: “España frena la onda Meloni”.
Dopo due settimane di campagna elettorale che ha visto due blocchi contrapposti più conflittuali che mai, il Partito popolare si posiziona come il partito più votato in Spagna, ma il Psoe resiste. Il Pp è in vantaggio sul Psoe per 14 seggi, ma leggendo i voti assoluti la differenza reale è poco più di 300mila voti. La differenza tra Vox e Sumar è solo dello 0,8%, cioè appena 21.117 voti.
Il Pp insieme Vox hanno 169 deputati, ma non raggiungono la maggioranza assoluta di 176 seggi necessaria per formare un governo, mentre i socialisti e Sumar ottengono 153 deputati. Il Pp è in testa con 136 seggi, il Psoe arriva a 122, Vox ne arraffa 33 e Sumar ne ottiene 31. Tutti i sondaggi delle ultime ore, e anche quelli delle settimane precedenti, ad eccezione del sondaggio Cis, mostravano che il Pp avrebbe vinto le elezioni, ma avrebbe perso il governo.

Alle 23.52, con il 98% di sezioni scrutinate, Pedro Sánchez dichiara: «La Spagna è stata chiara. Il blocco retrogrado ha fallito». Feijóo vince le elezioni nei seggi, ma non ha il sostegno per essere nominato capo di governo. Sánchez resiste e potrebbe rimanere alla Moncloa perché la coalizione di sinistra potrebbe governare con il sostegno di Erc, Bildu e Pnv, i partiti nazionalisti e indipendentisti della Catalogna e dei Paesi Baschi. Però oggi non basterebbe ripetere il sostegno del 2019, servirebbero i voti di Junts, la coalizione politica catalana dell’ex presidente Puigdemont, che dichiarò unilateralmente l’indipendenza della Catalogna nel 2017.

Il Psoe e Sumar avevano chiuso la campagna elettorale in uno stato di euforia impensabile una settimana fa e il Pp, invece, aveva minimizzato il suo trionfalismo.
Yolanda Díaz ha incoraggiato cittadine e cittadini a votare per Sumar: «La destra era convinta di vincere e noi abbiamo cambiato il copione». Per ora il copione ha un finale incerto.
Vox il partito di ultra destra in chiusura di campagna elettorale aveva mostrato i muscoli con il sostegno di una quindicina di leader internazionali. I messaggi registrati dei primi ministri di Italia, Ungheria e Polonia, Giorgia Meloni, Víktor Orbán e Mateus Morawiecki, non hanno portato fortuna e così come non è riescito a riempire Plaza de Colón a Madrid, Vox non ha fatto il pieno alle urne e ha perso ben 19 deputati al Congresso. I franchisti, omofobi e xenofobi, di Vox hanno dimezzato i seggi.

L’estrema radicalizzazione dello scontro politico su tutti i temi caldi, dall’economia all’immigrazione, dalla transizione ecologica ai diritti, voluta dal Partito popolare, fa emergere un leggero riaffacciarsi del bipartitismo. Non si intravedono però spazi per ipotizzare un governo di minoranza del Pp grazie a una astensione dei socialisti, con la marginalizzazione da un lato della sinistra, cosiddetta radicale, di Sumar e dall’altro dei fascisti di Vox. «Chiedo al partito che ha perso le elezioni, il Psoe, di non bloccare ancora una volta il governo spagnolo» è la prima dichiarazione di Feijóo, pretende che i socialisti lo aiutino a governare. Ipotesi realizzabile solo con la messa in discussione della leadership di Sánchez, come avvenne nel 2016. Un’ipotesi piuttosto improbabile non solo perché significherebbe un suicidio politico per i socialisti, ma perché non esistono più i margini, né in Spagna né nel resto dell’Europa, per politiche centriste di larga intesa.

Né disuguaglianze, crisi climatica e stato di guerra, né la paura della vittoria di un blocco conservatore che minaccia di abrogare o modificare le leggi approvate negli ultimi decenni, come quelle sull’aborto, sulla violenza di genere e sul matrimonio egualitario, sulla riforma del lavoro e sulle pensioni, né l’incubo di rivedere ministri fascisti spariti dall’epoca di Franco, sono bastate per confermare un governo progressista. Anche il contesto europeo non è stato favorevole alla vittoria della sinistra alle urne. In Italia, Svezia, Finlandia, Turchia e Grecia sono saliti al potere governi che impongono una agenda retrograda fatta di ordine, disciplina e politiche xenofobe.

Queste elezioni politiche, svolte in piena estate nonostante il caldo, delineano due scenari possibili: o si torna al governo progressista, con in più i voti di Junts o la sua astensione, o la Spagna torna a votare in autunno. Intanto nella sede del Psoe i socialisti festeggiano la loro rimonta e il testa a testa con i popolari sulle note di ‘Pedro’ di Raffaella Carrà a tutto volume. Venerdì ci sarà il conteggio dei circa 200mila voti dei residenti all’estero. I socialisti credono di poter salire a 125 seggi grazie a quei voti, facilitando così la possibilità di un governo di sinistra. C’è festa anche nella sede di Sumar. Yolanda Díaz a notte inoltrata è uscita sul balcone: «Grazie a tutte le persone che si sono fidate di Sumar. Oggi la gente dormirà più serenamente, la democrazia ha vinto e ne esce più forte, oggi abbiamo un paese migliore».

Nella foto: frame di un video sul discorso dopo il voto del 23 luglio (facebook di Pedro Sánchez)

24/07/2023

Abbiamo ripreso l'articolo

da Left

di Marina Turi