Quando lo Stato abdica, non è lo Stato a fallire. Sono i lavoratori a cadere. Uno dopo l’altro. Nello stesso vuoto. E alla fine la morale della storia è terribile: a disinteressarsi della sicurezza in Italia ci si guadagna
Nel 2015, Giuseppe Iaquinangelo è precipitato da dieci metri. Nessuna protezione, nessuna imbracatura, nessuna sicurezza. Da allora vive su una sedia a rotelle. La ditta per cui lavorava era la stessa. Esattamente la stessa. Quella che conta altri tre morti: Ciro Pierro, Vincenzo Del Grosso e Luigi Romano, caduti da un cestello elevatore a Napoli. Anche loro senza imbracature. Anche loro senza ritorno.
Potrebbe sembrare una coincidenza e invece è un sistema che si ripete. La prima volta la giustizia è arrivata con sei mesi di condanna in primo grado, poi prescrizione. La ditta ha continuato a lavorare. Nessun risarcimento. Nessuna interdizione. Nessun freno. Dieci anni dopo, siamo ancora a contare i corpi. Stessa ditta, stesse omissioni, stessa impunità.
E allora la domanda non è come siano morti. La domanda è: perché nessuno li ha salvati prima? Perché nessuno ha fermato chi aveva già dimostrato di non rispettare le regole? Perché le vite degli operai valgono così poco da essere consegnate alla statistica e alla prescrizione?
In Italia, morire sul lavoro è diventato una variabile accettabile. Le leggi esistono, ma la lentezza le svuota. Gli ispettori arrivano, ma i processi non concludono. E le imprese seriali, anche quando lasciano disabili o orfani, continuano a firmare appalti.
Quando lo Stato abdica, non è lo Stato a fallire. Sono i lavoratori a cadere. Uno dopo l’altro. Nello stesso vuoto. E alla fine la morale della storia è terribile: a disinteressarsi della sicurezza in Italia ci si guadagna.
Noi di Rifondazione Comunista siamo convinti che sia necessaria una legge che introduca il reato di omicidio e lesioni gravi o gravissime sul lavoro.
30/07/2025
da Left